Diamo ai bambini un futuro di pace
Il loro nome è "Oggi"
Tra i tanti appelli lanciati al mondo da Papa Wojtyla, ce n’è uno che all’inizio di ogni anno risuona distintamente nel cuore di ogni adulto: "Diamo ai bambini un futuro di pace!". Un invito rivolto a tutti gli uomini e alle donne di buona volontà perché aiutino i bambini a crescere in un clima di autentica pace.
Di fronte alle stragi di innocenti, il Papa alza la voce: "Fermatevi davanti al Bambino!".
Si sente spesso dire: "I bambini devono giocare". E invece sono milioni i piccoli che non sanno cosa sia il gioco. Sono poveri, e spesso per aiutare le proprie famiglie a sopravvivere si arrangiano con lavoretti o con veri e propri impieghi nelle fabbriche, con turni massacranti con salari bassissimi. Duecentocinquanta milioni di piccoli lavorano in tutto il mondo, specie in Asia e America Latina. Per certi compiti sono più abili dei grandi; ad esempio: nell’intrecciare i nodi dei tappeti; oppure si addentrano con più agilità nei cunicoli delle miniere o scavano con meno timori tra le montagne dei rifiuti.
Il più grave errore che possiamo compiere è abbandonare i bambini al loro destino. È trascurare la fontana della vita. Molte cose, nel mondo che ci circonda, possono attendere. I bambini no. Proprio ora il loro sangue, le loro ossa si stanno formando, i loro sensi si sviluppano. Non possiamo rispondere: "Domani". Il loro nome è Oggi.
Tutti sembrano voler aiutare i bambini: adozione a distanza, concerti, gemellaggi scolastici. Ma il nostro occhio è ancora miope: il nostro piccolo mondo, la nostra società, rimangono ancora al centro dei nostri interessi. Nei mesi scorsi i quotidiani e la Tv hanno parlato per giorni del dramma delle bambina che rischiava di morire per un farmaco indispensabile per la sua salute, ma la cui produzione era stata sospesa; mentre nel medesimo periodo milioni di bambini sani, nel Terzo mondo, rischiavano di morire di fame.
Da noi: eccedenza di cibo che spesso viene distrutto; altrove: fame e morte. Che cosa possiamo fare?
Dobbiamo offrire ai nostri bambini un mondo costruito a loro misura; donare calore e più disponibilità all’ascolto; far sì che la casa non sia solo un ristorante e un dormitorio, dove il dialogo è sostituito dalla televisione, e dove il confronto si risolve solo in discussioni e conflitti. E restituire dignità di bambino a chi l’infanzia l’ha persa nelle fogne di Bucarest, nei locali a luci rosse di Bangkok o nelle bidonville di Rio.
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