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Decisi di fare un giro intorno alla quercia. Scoprii che a metà altezza del suo tronco c’era qualcosa di intagliato. Vidi che era un cerchio con delle persone. Sembrava che danzassero e ognuna era diversa dall’altra. Allora, capii che qualcuno aveva voluto incidere un po’ della mia storia. Con le dita, cominciai, in silenzio e a occhi chiusi, a sfiorare quelle figure. Come per incanto, il cerchio sembrò staccarsi dalla corteccia e diventare vivo davanti a me. Sentivo parole, canti, musica. Riaperti gli occhi, vidi i miei amici d’infanzia, gli scout con cui avevo condiviso tante attività e, infine, i fratelli e le sorelle dell’Africa che mi avevano insegnato a danzare. Qualcuno cominciò a parlare, dopo che la musica si era fermata. Mi ricordavano quando andavo a scuola nel mio paese, i giochi che facevamo, le corse a casa, i sogni... Di fronte a noi c’era il Fenera con le sue grotte, con i resti degli animali e degli uomini preistorici e con tante leggende che ci raccontavano i nostri genitori. Altri mi ricordavano gli anni vissuti per conoscere meglio cosa il Signore voleva da noi, là sulla collina, di fronte al Lago Maggiore. Altri ancora mi dicevano che bisognava lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato. Alcuni amici con la pelle nera, nonostante le difficoltà, mi avevano insegnato a danzare. Quando partiva la musica dei tamburi e degli xilofoni, era impossibile stare fermi. Bisognava muoversi. Ed ecco, ancora una volta, che la musica arriva, non si sa da dove. E allora, tenendoci per mano, facciamo un grande cerchio di gioia. Io continuo a danzare a occhi chiusi, felice.



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