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Come un ponte di umanità, Il missionario

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Sessant'anni fa, quando frequentavo il seminario di Cremona, sentivamo parlare di missionari che partivano per la missione senza ritorno. Questo andare "totale" era accettato non solo da san Francesco Saverio, ma anche dai missionari che noi stessi avevamo incontrato.

Anch'io, nel 1962, sono partito per gli Stati Uniti "per sempre"... A casa però ci sono tornato dopo sei anni, in attesa di avere il visto d'entrata per la Sierra Leone, la missione a me assegnata.

Una vera gioia del cuore

Oggi che il mondo sembra diventato più piccolo e vicino, anche per noi saveriani il ritorno a casa è scandito da periodi di due o tre anni di lavoro: un tempo abbastanza lungo per dedicarci intensamente alla missione, e abbastanza corto per promuovere la comunione universale con confratelli, famigliari, amici e benefattori. Tornando in Italia, quindi, non abbandoniamo la gente che il Signore ci ha donato; ma è un momento diverso della stessa missione, un periodo sacro di affetti, amicizie e generosità.

Sono sempre tornato volentieri alla mia terra, per riconoscere ogni volta le radici della mia esistenza e della mia vocazione. È una vera gioia del cuore ritrovarsi insieme con parenti e amici e raccontarci le nostre cose: io quelle della Sierra Leone, e loro quelle dell'Italia. Con chi incontro, dal barbiere al compagno di treno, mi sento quasi un ponte di umanità, dove tutti - e soprattutto i più lontani e miserabili - trovano posto e diventano famiglia universale.

Tante cose da condividere

Le conversazioni all'inizio si concentrano sulla mia missione: i bambini, la povertà, i progetti, le scuole, le attività pastorali... Poi si parla anche della situazione generale del Paese, del governo, dei rapporti con i musulmani, della guerra finita nel 2002 con le brutalità commesse. Quante cose ci sono da condividere e, in un certo senso, da vivere insieme! Perché più racconto e più mi sento coinvolto profondamente: sia con chi mi ascolta, sia con chi ho lasciato in missione e che non posso mai dimenticare.

I discorsi infine tornano sulle realtà locali, le situazioni famigliari, la salute, il lavoro, le sofferenze, le piccole e grandi domande della vita. Divento allora ascoltatore di cuori e di coscienze.... Non mancano le occasioni in cui si piange insieme, ci si abbraccia volentieri e promettiamo di portare la croce con fede e con amore. Così continuo a essere quel ponte di umanità.

È bene quindi per noi missionari tornare "a casa" ogni tanto, per poi continuare - ancora più carichi di famiglia, di comunione e di bontà - a "far casa" in missione, per essere qui e là, tutti insieme, la meravigliosa famiglia di Dio.



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