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Chiamati alla missione: Il banchetto dimezzato

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Siamo convenuti dalle nostre case accogliendo l’invito alla Cena del Signore. E adesso che il banchetto arriva alla sua pienezza con la comunione sacramentale, principio e germe della comunione eterna, la gioia esplode, sia pure nella compostezza del rito.

Non ci sono due mense. Ricordiamoci però che il nutrimento è unico. Non ci sono due mense, quella della Parola e quella del Pane - come a volte si sente dire. C’è l’unica mensa di Cristo. Se non ci siamo nutriti della Parola, non ci nutriamo neanche del Pane. San Paolo, nella prima lettera ai Corinzi, avvertiva le sue comunità che “chi mangia e beve indegnamente, senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (11,29). C’è anche un mangiare che, più che indegno, è infruttuoso: ed è appunto il mangiare di quelli che non hanno accolto in fede e obbedienza la Parola.

Non ci sono due portate a scelta, carissimi: lascio “il primo”; mangio solo “il secondo”. Questa dieta non è consentita. Il piatto è unico. Se mi nutro del vangelo, mi nutro di Gesù. Se non assimilo il vangelo, non assimilo neanche il Corpo e il Sangue del Signore. Le cosiddette “comunioni di devozione”, fatte con relativa facilità, sviliscono il sacramento. Nella stessa lettera, Paolo afferma: “È per questo che tra voi ci sono molti malati e infermi, e un buon numero di morti” (11,30).

Dicevamo - tanti mesi fa! - che la Messa comincia e termina nelle case. È vero anche sotto questo aspetto: leggendo giorno per giorno la Parola di Dio e sottomettendo ad essa la vita, noi prepariamo la comunione eucaristica. Quando poi arriviamo alla comunione eucaristica, la lettura familiare della bibbia acquista tutta la sua efficacia.

I sazi e gli affamati. C’è anche un altro modo di dimezzare il banchetto. In uno degli ultimi numeri della rivista saveriana “Missione Oggi”, p. Pino Leoni faceva un bell’accostamento tra le nostre comunioni e i bambini che cercano il loro misero pasto nelle discariche delle favelas. Possiamo allargare l’accostamento alle tante, diverse e terribili fami dell’umanità. Noi dobbiamo arricchirci della voracità di queste fami quando andiamo al banchetto del Signore. La pretesa di nutrirci “da soli”, con la nostra bell’anima pulita e il corpo profumato, non ha seguito. La comunione non è un tête à tête nel comodo séparé delle nostre chiese. È invece un fatto sociale e universale: raccoglie attorno a noi tutti “i bisognosi” della terra per nutrirli…

Ma nutrirli di che? È facile cadere nel tranello dello spiritualismo estetizzante. La fame di senso si colma di vangelo. Ma le fami che distruggono le membra - denutrizione, mancanza di medicine, oppressioni e guerre - bisogna nutrirle di pane e di pace.

Un bel combattimento. Ricordate cosa dice il profeta Isaia al capitolo 25? “Il Signore degli eserciti preparerà per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà, su questo monte, il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto”.

La comunione con Gesù pone in noi un principio di comunione con ogni essere, che diventa - nella vita - lotta contro il male e impegno per il bene: di tutti e di tutto! Combattimento è la parola giusta. Quando ero ragazzo, mia nonna mi diceva:

  • - “La vita, Francesco, è tutta un combattimento”.
  • - “Ma allora è brutta, nonna!” replicavo.
  • - “No”, concludeva la nonna, “è un bel combattimento!”.

La comunione eucaristica non è un rifugio, ma il sempre rinnovato inizio del bel combattimento per il regno di Dio. 



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