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LA PAROLA
Disse loro anche una parabola: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in una buca? Il discepolo non è da più del maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: “Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello (Lc 6,39-42).

Forse non ci si aspetterebbe nel bel mezzo delle Beatitudini, dove siamo stati sbalzati verso la grandezza del cuore del Padre, di vederci confrontati con una verità tanto concreta quanto dimenticata, e cioè che il vangelo non è un’avventura solitaria. Non lo è la fede, non lo è il cristianesimo, come non lo è l’esistenza umana. È vero che tutti, chi più chi meno, siamo stati aiutati a crescere, ma poi ognuno ha cercato di volare con le proprie ali credendo di bastare a se stesso. Magari disposto a fare da guida ad altri, molto meno a sentirsi apprendista e discepolo per tutta la vita. E se la posta in gioco non è semplicemente sopravvivere o cavarsela, ma diventare soggetti di relazioni alternative, improntate al vangelo, come ci si può illudere di arrivare lì da soli, senza una guida, senza la sapienza di qualcuno che ha già piantato nella roccia i chiodi che faciliteranno la cordata?

L’evangelista Luca sa che le Beatitudini saranno esaltate per la loro bellezza e accantonate subito dopo per l’impossibilità di metterle in pratica e, per tale ragione, delegate al dono della grazia di Dio. Però anche la grazia bisogna guadagnarsela ed è a caro prezzo, direbbe Bonhoeffer. Gesù fa scaturire dal di dentro, attraverso domande che sembrano scontate, altre domande che invece non lo sono. Può un cieco guidare un altro cieco? Ovviamente no. Il problema non è dare la risposta corretta, ma cogliere il dramma di sbagliare meta per colpa di segnalazioni false, o di smarrire la strada per colpa di guide incapaci e disoneste.

Per sapere dov’è il polo nord bisogna cercare la stella giusta. Dietro quale stella abbiamo tracciato il sentiero della nostra esistenza? Forse dietro a stelle che sembrano lucenti e invece sono spente da secoli, dietro a fuochi fatui, così effimeri da illuminare appena qualche passo. Non si sogna più. Non si guarda più il cielo. Si è come schiacciati su un presente che non basta a nessuno, perché ormai ha perso anche quel sano sapore pagano dell’attimo fuggente. Se le grandi mete sembrano in declino, non sono finiti invece i falsi profeti che ne inventano di nuove, in ragione del consumo frettoloso che ingrossa portafogli sconosciuti e prosciuga le anime.

Qua e là s’ascoltano troppe sirene di imbonitori carismatici; risorgono antiche illusioni di scorciatoie magiche, di tecniche esotiche, di spiritualità al cartoccio; si assiste un po’ dovunque alla preoccupante svalutazione del pensiero, del ragionare sulla fede a favore di un cristanesimo spicciolo, troppo semplificato e mortificato da ricette ad effetto.
Ma se, seppur sommessamente, le Beatitudini del vangelo ci infiammano ancora il cuore, risvegliano la nostalgia di un mondo buono ancora possibile, ci fanno venir voglia di un po’ di perdono e di giustizia. Quanto è importante avere un maestro, una maestra che illumini il sentiero per giungervi! Un maestro a cui non basta non essere cieco, ma che abbia anche lo sguardo così terso da non chiamare pagliuzza la trave che ha nel proprio occhio, e trave il pulviscolo nell’occhio del fratello, di colui che gli cammina accanto. “Beati voi...”, non “beato te”. Alle Beatitudini ci si arriva, dunque, da fratelli.



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