Carisma è missione, Per restituire a Dio
Nel garimpo, la miniera dove si cercano oro e diamanti, c’è spesso clima di guerra: “È mio!”; “No, l’ho visto prima io!...”. Si formano subito due partiti. Qualcuno tira fuori un coltello; un altro minaccia con un revolver. Un caso, se non ci scappa il morto!
La domanda cruciale: “Chi è il proprietario? Di chi è il tesoro trovato?”.
Può sembrare paradossale, ma sentendo queste storie drammatiche, il mio pensiero va al Saverio e in generale alla missione. Di chi è la perla preziosa? A chi appartiene la moneta d’oro su cui è scolpita l’immagine di Dio? Saverio non ha dubbi: “le sue creature… il loro Creatore…”. Nella preghiera egli ripete: “O Dio, le tue creature...”. La vera missione allora diventa restituzione: è “dare a Dio quello che è di Dio”.
Credo sia stata questa l’intuizione del beato Conforti quando chiese al giovane pittore Paolo Baratta (di appena 22 anni) di dipingere un quadro del Saverio da mettere nella chiesa dell’istituto missionario nascente. Un Saverio che non segue i criteri delle solite immagini del santo: con il petto in fiamme, o in piedi sulla nave e il crocifisso nella mano, o che muore in solitudine guardando alla Cina...
Ancora oggi, sopra l’altare della “cappella dei martiri”, nella casa madre dei saveriani a Parma, ammiriamo un dipinto del Saverio che offre i popoli a Gesù, in braccio alla Madre. Saverio è circondato da uomini, donne e bambini di culture diverse. Egli offre al Signore i frutti del suo apostolato; “restituisce” al loro Creatore i mille volti che egli ha incontrato nei dieci anni di viaggi e di predicazione del vangelo; i volti dell’Europa e dell’Africa, dell’India e Indonesia, del Giappone e della Cina. Volti diversi, ma con i lineamenti dell’unico Creatore e Padre. Persone distanti una dall’altra, ma tutte portano la ricchezza di umanità che il “loro Creatore” ha dato a ciascuna.
Mentre scrivo, qui in Brasile siamo in clima di coprifuoco: alle sei di sera, tutti in casa! Arrivano notizie di morti a decine: le carceri sono in rivolta. Una di queste carceri è nella nostra parrocchia, con oltre settemila carcerati. Abbiamo un po’ di paura - lo confesso - ma siamo sereni. In parrocchia c’è il gruppo della pastorale carceraria; vi fa parte anche un novizio saveriano. Da loro sentiamo racconti di bontà e di umanità, che i giornali non raccontano mai. Sì, anche nei carcerati c’è l’immagine di Dio; anche loro continuano a essere “sue creature”, tesori di Dio.
Dovrebbe ricordarselo chi ammassa 12 carcerati in una cella di 4; chi mette insieme criminali di professione e ladruncoli da supermercato...
Dovremmo ricordare più spesso la parola di papa Wojtyla: “L’uomo deve essere donato e restituito a Dio, per essere pienamente restituito a se stesso” (Red. donum, 4).
Questa è l’opera della missione.