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In tre cercavano dei posti sulla canoa. Faceva caldo, avevamo tanta acqua attorno e anche tanta sete: il lago Tanganika non ci poteva dissetare. Padre Rolando faceva fatica col bastone a camminare sulla spiaggia del lago. La gente (50.000?) cercava di tornare a casa dopo tre giorni di fuga e di paura. I Bunyamulenge avevano già occupato Uvira e ordinato a tutti di consegnare armi e machete, e di tornare ognuno alla propria capanna.

Bwana (signor) Ndama era lì, sulla spiaggia, come un angelo mandato da Dio; ci veniva incontro e ci offriva dei posti sulla sua piroga e ci diceva che volentieri ci avrebbe ospitati nella sua capanna a Makobola. Eravamo in fuga da quattro giorni. Di giorno i May-May (giovinastri del territorio) ci minacciavano accusandoci di essere amici dei ribelli; di notte bisognava nascondersi nei campi di manioca durante gli spari. In quel clima di tensione, la persona di Ndama ci rassicurava e ci dava coraggio.

Dopo due ore dal suo incontro eravamo già sul lago: lui e suo figlio remavano e cantavano: ci sembrava di passare il Mar Rosso, lasciando dietro paura e terrore, e i suoi canti per noi erano salmi di riconoscenza e di liberazione. Ndama era anche un assistente qualificato della Croce Rossa e portava con sé in un fagotto alcune medicine tanto preziose contro la diarrea e la malaria.

Arrivando a Makobola ci mostrava un altro fagotto dove aveva raccolto tutta la roba più importante della sua chiesa: libri, messali, calici e roba varia. Da buon catechista-diacono aveva pensato alla famiglia e alla chiesa: quella piccola grande chiesa sulla collina di Makobola, era il suo orgoglio e la sua missione.

Ci aveva offerto una stanza nella sua capanna e la prima notte, l'abbiamo saputo dopo, rimase a dormire fuori dalla nostra porta. Voleva proteggerci da eventuali banditi o giovinastri. I tre giorni passati a casa sua ci avevano dato l'opportunità di conoscere sua moglie e i suoi figli. Ci aveva portato sul colle a visitare la chiesa e ci spiegava i problemi e le gioie della comunità. Era chiara la sua dedizione a Cristo e alla sua parola. Bwana Ndama era un uomo saggio: la sua spiritualità era tutta africana e tutta evangelica; era pieno di ospitalità e di carità; i suoi gesti e le sue parole avevano discrezione e calore.

Dopo tre giorni ci siamo separati con un abbraccio forte. Avevo un nodo alla gola e riuscivo solo a dirgli: "Aksanti sana! Grazie!". Gli promettevo intanto che un giorno sarei venuto volentieri a celebrare l'Eucarestia con la sua comunità. L'emozione era talmente forte nel mio cuore e conservavo sempre la segreta speranza di rivederlo ancora, di riabbracciarci ancora come fratelli!

Bwana Ndama, catechista-diacono, è stato massacrato agli inizi di gennaio con tante altre persone (500?) di Makobola. Con la famiglia era scappato in fretta durante la notte sulle colline. Il giorno dopo tornava ancora a prendere i vasi sacri e la roba della sua chiesa. Una pallottola l'ha raggiunto, ammazzandolo. La diocesi di Uvira e la comunità di Makobola ha perso un valido diacono.  Ho perso un fratello! Ora mi consola un proverbio africano: "Quando gli altri hanno già ricevuto, tu puoi ancora ricevere perché Dio è lì!".



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