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Bangladesh: Addio, con il magone in gola

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Un piccolo regalo, davvero speciale

Apriamo il 2007 pubblicando un racconto del dottor Gildo Coperchio, il medico saveriano di Passo di Treia, Macerata, che lavora in Bangladesh da oltre 22 anni.

Il Natale del 2003 mi ha portato una sorta di regalo: un nuovo posto di lavoro. Dopo aver lavorato con la gente dei villaggi attorno a Chuknagar, sarei tornato a lavorare in un ospedale, questa volta a nord del Bangladesh, nella diocesi di Dinajpur. Qui, in mezzo alla popolazione bengalese, vivono anche gruppi etnici persi, che hanno abbracciato il cristianesimo in numero considerevole. Per me si trattava di un campo di lavoro totalmente nuovo e quindi di... una nuova sfida.

Il Natale del villaggio

Dovevo andare a salutare la gente di Chuknagar e ho voluto passare il Natale nel villaggio, proprio per concludere la mia attività tra quella gente. In questo modo, volevo dire "addio" a tutti, assicurando che li avrei portati sempre con me.

È stato il Natale del villaggio, pieno di eventi. Dopo 18 anni di vita missionaria in Bangladesh, questa è stata la prima volta in cui ho assaporato lo spirito originale del Natale, quello spirito che ho letto tante volte nel vangelo, senza mai capirlo fino in fondo.

Mi aspettavo che, anche a Natale, qualcuno venisse alla missione a cercarmi per farsi visitare. Infatti, prima della Messa del mattino, un uomo sui 40 anni, sofferente per un'incontrollabile diabete, è venuto e mi ha pregato di visitarlo nuovamente. Era la terza volta che veniva e, per convincermi, ha continuato a dirmi che io ero stato l’unico dottore a fargli avere qualche miglioramento.

"Ci vediamo dopo Messa"

Non sono state le lodi a convincermi. Ma in queste situazioni mi ritrovo senza difese... Non potevo mandarlo via così. Siccome stava per iniziare la Messa, gli ho detto che ormai era il tempo della preghiera e quindi avrei potuto visitarlo solo dopo la fine della Messa. Pensavo in questo modo di scoraggiarlo, invece...

Imperterrito si è seduto in mezzo agli altri, nella scuola gremita dei pochi cristiani e dei più numerosi catecumeni del villaggio. Sembrava un cristiano perfetto, solo che non sapeva che cosa fosse il segno di croce e si trovava un po’ spaesato tra canti, preghiere e letture varie. Un’ora e un quarto di Messa! Dopo Messa, dietro di lui, si erano già accodati altri pazienti. Nel tardo pomeriggio mi sono accorto di averne visitati almeno una ventina…

Un grazie e due peara...

Tra i pazienti c’era una donna, venuta a ringraziarmi per averle guarito la figlia da strani dolori intestinali. I medici locali, come al solito, le avevano detto che doveva essere operata di appendicite. Nel salutarmi, mi ha regalato più di una lacrima. Mi diceva: "Ora che te ne andrai, cosa faremo? Da chi andremo quando saremo malati?". L’ho ringraziata per quelle parole sincere. Da queste parti non capita spesso di sentire un "grazie".

Intanto, la sua bimba di dieci anni mi porgeva due peara, un frutto simile a una mela con tanti semi dentro. Ho tentato di rifiutarle, dicendo che il mio stomaco non aveva bisogno di frutta extra. Sarei stato più contento se le avessero mangiate loro al posto mio. Non c’è stato verso. Ho dovuto accettarle. Difficile dirvi cosa mi passava nel cuore!

Congedandomi dalla donna le ho detto: "Va' a casa con la tua piccola e per favore, lungo la strada non voltarti indietro; rischieresti di farmi piangere".

Le ho viste allontanarsi, e un piccolo magone in gola l’ho sentito comunque.



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