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Ascoltiamo l’Africa, Un continente senza pace

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Una sera di maggio tiepida e serena, una sala elegante, una platea di persone interessate, relatori vivaci e immagini che scorrono sulla scena, musiche ritmate e tipici abiti africani… Ecco la ricetta per un incontro ben riuscito. Sono stati questi gli ingredienti di successo di “Ascoltiamo l’Africa: parole e musica da un continente senza pace”, un appuntamento che la Cisl ha ospitato nella sede provinciale di Brescia.

Tre gli attori principali della serata: il complesso musicale senegalese Siko Group De Fass, le lettere del saveriano p.  Lino Maggioni e la testimonianza di Flavia Bolis, giornalista di Cuore Amico. Ma il vero protagonista è stato il Burundi.

Kamenge e dintorni

Paolo Bonzio ha rappresentato il gruppo “Kamenge e dintorni”. Questo gruppo bresciano prende il nome dal centro giovanile Kamenge, uno dei progetti-speranza del Burundi, attivo nei sei quartieri nord della capitale Bujumbura. Il centro ha 14 mila iscritti. Sono giovani dai 14 ai 30 anni che hanno scelto di vivere insieme momenti per giocare, pregare, studiare, imparare qualche mestiere nonostante le divisioni di etnia, di nazione e di religione.

A Kamenge, da qualche mese, è arrivato padre Lino Maggioni, un saveriano bergamasco che ha ripreso la via della missione all’età di settant’anni e ha comunicato ai tanti amici le sue emozioni e impressioni attraverso numerose lettere.

Alcune di queste sono state lette dai senegalesi del gruppo Siko Group De Fass. Scrive dal Burundi il missionario: “Intendo fermarmi qui per il resto della mia vita, perché questo è il posto più bello del mondo”.

Parole di innamorato

“Sono le parole di un innamorato - ha sottolineato Bonzio - che vede la realtà attraverso l’armonia della pace, che vede nel nemico l’oggetto della sua compassione”. Dalle lettere emerge un rinnovato entusiasmo che fa breccia nell’animo di p. Lino, una vita ritrovata, non più scandita dai risultati delle partite di calcio di cui è appassionato, né dalle facce dei politici e nemmeno dal tempo di un orologio che laggiù rimane nel cassetto.

Paura, gioia, rabbia, soddisfazione, sorpresa… tutto questo è raccontato da padre Lino: “Quello che conta è stare qui con loro, vivere con loro, ascoltare il loro silenzio che trasmette pace. Sanno tirare fuori il tutto dal niente”.

La scelta dell’Africa

Con parole simili Flavia Bolis ha spiegato perché ha scelto l’Africa. “È stata l’Africa a scegliere me e mi ha fatto comprendere la mia povertà. Quando sono arrivata in Burundi, dieci anni fa, l’ho fatto spinta da curiosità, per assistere in diretta a quello che vedevo in televisione, perché l’Africa fa notizia solo se ci sono almeno 300 morti”. Il passaggio dalla curiosità alla vergogna è avvenuto in tempi rapidi.

Flavia scopre ben presto che la dignità vera era presente più tra quella gente che nei visitatori. “Il Burundi, dilaniato dalla guerra - ha continuato la Bolis - è un Paese senza giustizia dove chi la invoca, come ha fatto mons. Courtney, trova la morte. Nonostante tutto, è un Paese su cui i saveriani hanno scommesso ancora. Hanno creato una nuova missione, Gitega, a 180 chilometri dalla capitale, l’hanno fatto perché credono nel futuro del Paese e in questa gente”.

Là dove siamo

“Noi occidentali - conclude Flavia Bolis - abbiamo la consapevolezza, più o meno dichiarata, che siamo i migliori e per questo, come dicono in Burundi, “possiamo decidere quando il gioco finisce”. Se davvero è così, abbiamo anche il dovere di garantire i diritti fondamentali di questa gente, anche restando dove siamo”.

Padre Lino ha trovato una frase di san Francesco di Sales per sostenere lo spirito: “Dove Dio ci pianta, là dobbiamo fiorire”. Paolo Bonzio, concludendo, ha parafrasato così: “Il posto più bello è dove siamo. Là dove siamo dobbiamo aprirci agli altri”.



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