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Anche il piacere ha una casa

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LA PAROLA
Allora dissero a Gesù: “I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno orazioni; così pure i discepoli dei farisei; invece i tuoi mangiano e bevono!”. Gesù rispose: “Potete far digiunare gli invitati a nozze, mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni in cui lo sposo sarà strappato da loro; allora, in quei giorni, digiuneranno”. Diceva loro anche questa parabola: “Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per attaccarlo a un vestito vecchio; altrimenti egli strappa il nuovo, e la toppa presa dal nuovo panno non si adatta al vecchio. E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti. Il vino nuovo bisogna metterlo in otri nuovi. Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: Il vecchio è buono!” (Lc 5,33-39).

Il digiuno e la preghiera avevano assunto un’importanza sempre più centrale nella spiritualità giudaica. Tanto più erano frequenti e soprattutto visibili, tanto più parevano conferire un sigillo di autenticità al pio osservante della Legge. L’ascesi del Battista era ben conosciuta: viveva nel deserto, non portava vesti sontuose e si cibava sobriamente. E tale dev’essere stato lo stile di vita dei suoi discepoli. I farisei, a loro volta, si distinguevano per l’ostentazione di lunghe preghiere e digiuni che andavano oltre il minimo richiesto, come ci ricorderà la parabola del fariseo e del pubblicano.
Gesù e i suoi discepoli, invece, hanno appena partecipato a un lauto banchetto insieme a Levi e a tanti altri peccatori come lui. Gli scribi e i farisei non solo sono scandalizzati da questa convivialità con gente che trasgrediva pubblicamente la Legge, ma anche dal semplice fatto che Gesù e i suoi mangiano e bevono con una certa abbondanza e ilarità. Mangioni e beoni, dunque.

C’è un verme che corrode sempre la religiosità legalista: la gioia di vivere, il gusto per le cose. Quasi a dire che lì dove c’è mortificazione e un certo tipo di sofferenza, lì è assicurata la presenza di Dio, la certezza di essere nella sua volontà. E chi più resiste, più perfetto diventa. Come sempre, c’è il rischio di delegare a qualcosa di misurabile il grado di questa perfezione. Ma nessuna norma potrà mai assicurare l’amore. Gesù spalanca una finestra da cui fa entrare una folata di vento impetuoso: non si può imporre agli invitati a nozze di digiunare mentre lo sposo è con loro! Alle nozze si mangia, si beve, si canta, si danza, perché è la festa dell’amore che rinnova il creato. L’uomo è un invitato al banchetto del mondo, è un amico di Dio, o è uno schiavo che esegue soltanto degli ordini per non venire castigato? E, quand’anche si rendesse indegno di partecipare a quel banchetto o non vi fosse ancora giunto, ne verrebbe escluso per sempre? Vi è quindi un digiuno ben più terribile della rinuncia al cibo: la perdita dell’essere amato, l’essere lasciati fuori dal banchetto di nozze, il non poter godere della dolce amicizia del Padre e dei fratelli.

Preghiera e digiuno, lungi dal perdere la loro importanza, acquistano qui una luce nuova. Sono il luogo dove si vive la presenza nell’assenza, dove si anticipa la struggente nostalgia di un incontro che sarà pieno soltanto oltre il tempo, ma che già comincia ora nel mistero delle piccole cose, degli incontri feriali, lì dove anche il gusto per la vita sta di casa. Per farvi posto occorre però mettersi un vestito nuovo, senza toppe, perché quello consumato non resisterebbe all’impatto. Così come il vino nuovo dev’essere conservato in otri fiammanti, altrimenti andrebbe tutto all’aria. Ma questa non è poi una gran novità. È una verità antica come il mondo, antica come la storia dell’amore tra Dio e l’uomo. Un vino vecchio, dunque, ben stagionato nei barili della storia, che a berlo fa proprio sprizzare di gioia!



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