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Amazzonia: non solo ''pistoleros''

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Cari amici, scrivo dall'Amazzonia, la vastissima regione a nord del Brasile. Sono in visita ai confratelli saveriani che vivono e lavorano in quest'area da oltre cinquant'anni. Sono quarantaquattro in tutto, e lavorano in quattro diocesi. Alcuni sono impegnati nelle comunità parrocchiali; altri nella pastorale con gli indio kayapò; altri ancora nella pastorale sociale; altri si dedicano alla formazione dei giovani brasiliani che desiderano diventare missionari.

È un insieme bello e vario. Per quanto riguarda l'età, c'è anche un novantenne, arzillo e sempre al lavoro! Per la provenienza, sono italiani, messicani, brasiliani, indonesiani e anche uno spagnolo. I servizi che essi offrono al popolo brasiliano e alle chiese locali sono molteplici e qualificati.

Sono al termine della lunga visita; torno in Italia il 31 dicembre. Ho festeggiato il santo Natale in Amazzonia e il pensiero è andato anche a voi tutti. Per questo ho voluto raccontarvi qualcosa di questa mia esperienza. Ho potuto visitare zone molto diverse, con tante problematiche, a volte molto profonde.

Quattro rivoluzioni

L'Amazzonia vive ora la "quarta rivoluzione" in trent'anni. Dopo la deforestazione, a causa della quale ora per centinaia di chilometri non si vede che qualche albero della foresta, unica al mondo, che lussureggiava in quest'area, è arrivata la produzione in vasta scala del caucciù. Poi si è passati all'allevamento dei bovini sui prati che hanno preso il posto della foresta e i fazenderos che si sono installati in immense fazendas, con milioni di capi bovini al pascolo ovunque. Attualmente è in atto la rivoluzione dello sfruttamento del suolo, ricco di fosfato, di minerali e soprattutto di nichel.

Ho visto una grande fabbrica che lavora il nichel. Attorno ad essa gravitano 5mila nuove famiglie, venute qui da tutto il Brasile. Così i piccoli borghi sono diventati delle città, con tutto quello che comporta l'aggiungersi di popolazioni spesso tanto diverse.

L'urbanizzazione ha provocato dei mutamenti sociali che diventano spesso conflitti: tra i piccoli nuovi proprietari e gli indio, che da millenni hanno abitato queste terre, un tempo ricche di alberi, selvaggina e pesce; tra i piccoli e i grandi fazenderos, voraci e senza scrupoli; e recentemente, tra costoro e le grandi compagnie minerarie, che stanno estraendo dal suolo una grande varietà di minerali.

La dedizione dei missionari

Ho visto il lavoro dei saveriani tra i kayapò, tornati ora nei villaggi (aldeias) delle loro terre d'origine. I missionari accompagnano questo ritorno, collaborando con l'attività della Funai, l'organismo brasiliano per i popoli indigeni. Ho costatato la giusta preoccupazione di quelli che lavorano nelle parrocchie, così estese e popolate: qui la violenza è un fatto quotidiano, con i pistoleros a fare "giustizia" nelle città attorno alle fazendas, e ogni sorta di banditismo nelle periferie di Belém, la capitale della regione del Pará.

I giornali e le televisioni dedicano grandi spazi nel descrivere, con dettagli raccapriccianti, tutti questi atti di violenza. Mentre ero a Ourilândia, una famiglia intera, compresi i giovani figli, è stata uccisa; un'altra è rimasta nelle mani dei sequestratori per molte settimane...

Ho visto il lavoro dei saveriani con i giovani e con gli operai delle grandi imprese minerarie. Ho ammirato coloro che si dedicano all'educazione della gioventù e quelli che compiono tanti piccoli gesti di carità verso le innumerevoli famiglie povere.

Il Signore porti la pace

Mentre raggiungevo le varie missioni, viaggiando per quasi 2.000 chilometri in corriera e attraversando le città e i fiumi, ho pensato al Natale: a questo Bambino che si è fatto uomo come noi, tra noi, per noi. L'ho rivisto vivere in tutto questo mondo di situazioni drammatiche e di persone povere.

Ho voluto dirvi qualcosa, ben sapendo che un riassunto dice troppo poco delle tante emozioni che ho vissuto. Ma dalla vasta Amazzonia la mia preghiera, insieme alla vostra, si allarga ancora di più. Il Signore porti pace su questa nostra terra: in Congo, in Afghanistan, in Iraq, in India, in Colombia, in Brasile... e nei nostri cuori.



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