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A tu per tu con p. Mimmo Pietanza, Bangladesh...

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Di ritorno dal Bangladesh per un periodo di vacanza e per partecipare all'assemblea dei "superiori maggiori" delle nostre missioni nel mondo, p. Mimmo Pietanza, saveriano di Mola di Bari, è venuto a trovarci. Gli abbiamo chiesto di parlarci della sua esperienza missionaria.

Come va in Bangladesh?

In Bangladesh, la vita della gente non va proprio bene. I motivi stanno soprattutto nei prezzi dei generi alimentari che aumentano sempre più. Il governo dà la colpa ai commercianti, che a loro volta la scaricano sul governo. Chi ci va di mezzo alla fine è sempre la povera gente.

È sempre stato così?

Molte volte ho sentito dire dai bengalesi che prima si stava meglio. C'è stato un periodo, quando la popolazione non era così numerosa e non si erano ancora creati gruppi corporativi di categoria fra i grossisti. Ora i grossisti fanno il bello e il cattivo tempo nei mercati ortofrutticoli e nella vendita del riso.

Ci sono altri problemi?

Le catastrofi naturali. A causa dell'effetto "serra" e del surriscaldamento del clima, i ghiacciai si sciolgono causando l'aumento del livello del mare che sta invadendo la terra ferma anche in Bangladesh. Zone prima abitate dalla gente ora non lo sono più, perché l'acqua ha occupato lo spazio, rendendo il terreno una palude ed erodendo le case fatte di fango. La popolazione è costretta ad andare all'interno e diminuisce l'area abitabile e coltivabile.

Cosa comporta tutto ciò?

Quasi ogni anno ci sono i cicloni; prima non erano così frequenti. Non si riesce a ricostruire la zona colpita da un ciclone che già ne arriva un altro a portare morte. Il prezzo dei materiali per la ricostruzione delle case raggiungono le stelle. Colgo l'occasione per ringraziare tutte le persone che in vari modi hanno mandato il loro contributo, affinché potessimo aiutare le gente alluvionata a risollevarsi e a ricostruire le case.

La gente come reagisce?

Il bengalese non si abbatte, non entra in crisi, non si deprime facilmente. Accetta e sopporta le intemperie naturali e le difficoltà, vivendo intimamente la speranza che un giorno tornerà il sole e il sereno nella propria vita. In questo senso gli orientali sono più forti di noi. Davanti a un ostacolo, cercano di superarlo. Se non ci riescono, portano pazienza e aspettano un futuro migliore. Ma noi dobbiamo aiutarli, specialmente nelle situazioni più gravi.

Cosa fate in Bangladesh?

Prima di tutto, dico che siamo 33 missionari di varie nazionalità e lavoriamo in diverse parti del Bangladesh. Alcuni di noi sono parroci o coadiutori, nell'attesa che i sacerdoti bengalesi siano in numero sufficiente per gestire le parrocchie. Alcuni lavorano al Centro di catechesi per la formazione del laicato e dei catechisti, altri sono presenti fra comunità islamiche e hindu. Dove non ci sono cristiani, gestiamo scuole per i più poveri; aiutiamo ragazzi e ragazze ad andare a scuola, pagando la retta mensile e i libri, creando scuole di sostegno nel pomeriggio... Cerchiamo in tutti i modi di renderli consapevoli dell'importanza di andare a scuola e dell'istruzione.

Collaborate con qualcuno?

Sì, cerchiamo di aiutare le organizzazioni non governative a fare opera di sviluppo e di formazione. La dignità della persona umana, la difesa e la promozione della donna, le campagne per evitare il matrimonio dei bambini e la divisione delle caste, sono argomenti che i missionari devono avere a cuore.

Gestiamo anche una scuola tecnica professionale per i giovani, molto famosa in Bangladesh. Inoltre, alcuni saveriani lavorano in ospedali e ambulatori nei villaggi e per la promozione dei diversamente abili. Nella città di Khulna, gestiamo un ospedale dove ogni anno per sette mesi vengono dei chirurghi italiani per fare gli interventi più delicati. Fanno un sacco di bene ai poveri malati del Bangladesh.



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