A Salerno c’è più di un pezzo di cuore
Il titolo rinnova la nostalgia. Per un missionario, aperto alla continua “partenza”, al “lasciare la propria patria, la propria casa come Abramo, come gli Apostoli, per seguire Gesù e il piano che Dio ha sul mondo e sulla propria vita”, è come un guardare indietro, un voltarsi e ricordare a sé stessi il rimprovero di Gesù che “chi mette mano all’aratro e si volta indietro non è degno di me”.
Però, onestamente, devo dire che un po’ di cuore è rimasto a Salerno. È stata la mia prima esperienza di presbitero e missionario tra la gente. Mi ricorderò sempre quando sono andato ad Acerno da nonna Bettina (una signora anziana, quasi cieca che raccoglieva per i missionari occhiali, vestiti usati, medicine e castagne…). Mi chiese se avrei potuto andare in chiesa e portarle poi la Comunione. Avevo fatto tardi nel caricare il pulmino e la strada di montagna per il ritorno era lunga. Era già quasi sera. Io tergiversavo e lei se ne esce con questa frase per convincermi: “Guarda che Gesù non ha detto prendete, mettetemi sull’altare e guardatemi, ma ha detto prendete e mangiate”. Questa frase la ricordo ancora dopo oltre trent’anni. Una frase che allora mi ha ricordato il mio impegno a donare Gesù, a portare Gesù, a farmi “mangiare” dalla gente come Gesù.
E, a proposito di “mangiare”, ricordo che all’inizio i ragazzi del nostro Istituto saveriano mi chiamavano accorciando il mio nome di Edi con “padre E”. Io rispondevo loro che se lo avessero accorciato ancora di più non rimaneva niente di me. Un altro piccolo segno per la vita missionaria era cercare di sparire a sé stessi, per far apparire nell’altro Gesù.
Durante questi anni dall’altra parte del mondo ricevo ancora inaspettate (dopo trent’anni!) e-mail di ringraziamenti e saluti da Salerno. Con loro riaffiorano i ricordi delle attività con i giovanissimi nelle parrocchie di Fisciano, Vallo di Diano, Mercato S. Severino, Agropoli… dei ragazzi dell’Istituto, delle “avventure” alle Giornate missionarie, dei paesaggi delle due costiere.
Sull’Amalfitana, la mattina, andando per il ministero cercavo e trovavo uno spazio per parcheggiare l’auto e dire le lodi al Signore aiutato dalla bellezza del sorgere del sole. Ricordo la frase del poeta Renato Fucini impressa su una targa ad Amalfi: “Il giorno del giudizio, per gli amalfitani che andranno in paradiso, sarà un giorno come tutti gli altri”. Sulla costiera Cilentana, più selvaggia, ricordo i colori e i profumi mediterranei. Ma i ricordi vanno soprattutto alla gente, alle persone che hanno condiviso con i missionari tanta generosità: il poco che avevano (olio, castagne, arance, limoni) e i pochi soldini (le 42.000 lire tutte in monete da 100 lire della prima giornata missionaria), l’accoglienza, la gentilezza “favorite padre”, il mettere l’altro a proprio agio, (agli immancabili ritardi causa traffico la frase “nu ce problema padre, tutt se po justa”) e la “fratellanza” dei parroci e di alcuni il loro attivismo missionario.
Scrivendo questo piccolo articolo, mi sono accorto che non solo un pezzettino di cuore è rimasto a Salerno, ma forse qualcosa più di un pezzettino!