50anni in Bangladesh: Strategie di evangelizzazione
In un ambiente come il Bangladesh, a stragrande maggioranza musulmana, dove l’attività di evangelizzazione non può prefiggersi di dare origine a nuove comunità cristiane in tempi brevi, si intuisce quanto sia importante riflettere sui ruoli da svolgere, sulle scelte da fare come missionari.
P. Enzo Valoti, superiore dei saveriani in Bangladesh, presenta le "strategie" missionarie degli ultimi 30 anni.
Una premessa: ricercando nuovi ruoli
Arrivati in Bangladesh, una delle priorità dei saveriani è stata la costruzione del seminario e la formazione del clero locale. Nel 1975, i saveriani si riuniscono per la loro prima Assemblea capitolare dopo la tragica guerra di indipendenza dal Pakistan, per valutare la situazione e programmare il proprio futuro di missionari. In diocesi di Khulna erano già al lavoro i primi due sacerdoti locali, da poco ordinati. Essi erano l’avanguardia di un discreto gruppo di giovani che si stavano preparando a diventare sacerdoti. In previsione di un clero locale che si fa avanti e che, un po’ alla volta, prenderà in mano la cura delle parrocchie e gli altri servizi pastorali, i saveriani cercano di individuare nuovi campi di attività missionaria.
Ecco alcune scelte strategiche che i saveriani hanno fatto, spinti dalle circostanze concrete e anche - ne sono certo - dallo Spirito Santo.
Prima scelta: formazione dei laici e animazione sociale
La prima scelta (del 1975) è di dedicarsi specificamente alla formazione dei laici in genere, e dei catechisti in particolare. Questa scelta mira a fare della chiesa locale, già esistente, una chiesa più missionaria, in cui tutti si sentano attori e non solo spettatori. E’ una scelta strategica, affinché il lavoro di evangelizzazione possa dare maggior frutto. Un po’ come i primi missionari in Cina, che avevano puntato a convertire il mandarino, fiduciosi che tutti avrebbero seguito il suo esempio... Così qui, in Bangladesh, si è pensato: se papà e mamme di famiglia si rendono maggiormente conto della bellezza della loro fede, essi diventeranno i missionari nel proprio ambiente e saranno senza dubbio più convincenti dei missionari stranieri nell’annunciare il vangelo di Cristo.
Nello stesso tempo, viene anche sottolineata l’importanza di dedicarsi alle opere di sviluppo, non come esecutori di progetti, ma come animatori. Si tratta, in sostanza, di creare una forte leadership cristiana e sociale. Questo compito è affidato in particolare al centro catechetico-sociale di Jessore che, attraverso corsi e pubblicazioni, ha dato un grande contributo all’attuazione di questo obiettivo.
Seconda scelta: dialogo interreligioso con modalità diverse
Dal 1979 in poi, si insiste sull’importanza del dialogo e sulla necessità di iniziare alcune esperienze concrete. Così, prima a Dhaka e poi a Jessore e Khulna, i saveriani diventano promotori di esperienze nel dialogo con i musulmani, soprattutto attraverso il confronto su tematiche religiose, la riflessione su passi scelti della Bibbia e del Corano, il contatto regolare con personalità religiose. Per incoraggiarci su questo cammino, vengono a farci visita il compianto mons. Rossano e il cardinale Arinze.
Il dialogo con gli hindu, prende una fisionomia diversa, più informale. Gli incontri vertono su tematiche culturali e sociali: la divisione in caste, l’intoccabilità, le tradizioni popolari, i rituali religiosi eccetera. Il Vangelo e la Carta dei diritti umani sono i punti di riferimento dei saveriani in queste intense esperienze di dialogo. Viene sempre più evidenziato anche l’impegno saveriano nel settore di giustizia e pace.
Altre esperienze riguardano il dialogo di vita, dove non si discute affatto, ma ci si impegna a vivere insieme nel rispetto reciproco. A Bagachara, nel 1983, p. Gabriele Spiga inizia Ashar Bari, la Casa della Speranza, un centro dove vivono insieme un gruppo di persone con handicap, di varie religioni e ceti sociali. A Khulna invece, nel 1995, viene aperto un centro di accoglienza per i ragazzi di strada, diretto ed animato dal saveriano p. Riccardo Tobanelli insieme ad alcune persone musulmane e hindu.
Terza scelta: Evangelizzazione tra Rishi e Tribali
Nel susseguirsi delle assemblee capitolari, diventa sempre più chiara nei saveriani la consapevolezza di doversi impegnare maggiormente con i non cristiani. Questo comporta, tra l’altro, lasciare le strutture ecclesiali consolidate, per vivere uno stile di vita più vicino alla gente con cui si intende vivere e lavorare.
Una delle scelte più impegnative dei saveriani è stata quella di avere come interlocutori nell’opera di evangelizzazione il gruppo dei fuoricasta chiamato Rishi. Ragioni della scelta: sono gli ultimi degli ultimi. I Rishi, infatti, sono uno dei gruppi più emarginati nel sistema di casta; allo stesso tempo, sono aperti al vangelo in quanto un numero consistente dei cristiani della diocesi di Khulna ha forti affinità con questo gruppo sociale. Conforme alla scelta fatta, alcuni saveriani vanno ad abitare in mezzo a loro.
P. Luigi Paggi sceglie il villaggio-bazar di Chuknogor (ad ovest di Khulna), punto di confluenza di varie vie di comunicazione. Da questo centro viene promosso il dialogo socio-culturale con gli intoccabili della zona: si cerca di osservare e comprendere il loro sistema di vita, di elevare il livello di istruzione pressoché nullo, di promuovere l’integrazione con altri gruppi hindu e musulmani attraverso una lenta e paziente opera di sensibilizzazione.
Nel 1988, rispondendo ai ripetuti inviti del vescovo, si accetta una missione tra i gruppi tribalidella diocesi di Mymensingh (a nord-est di Dhaka), la cui cultura e la stessa esistenza sono minacciate dalla persistente pressione musulmana. Qui i saveriani si impegnano per il diritto di ciascun popolo a salvaguardare la propria esistenza ed identità culturale.
Quarta scelta: Iniziare il cammino catecumenale
In Bangladesh non è facile presentare la figura di Gesù e proporne la sequela. Di fatto, per molti anni non ci sono state esperienze significative di cammini catecumenali nelle comunità in cui hanno lavorato i saveriani. E questo, per solidi ed ovvi motivi; non ultimo, il rischio reale di essere espulsi con l’accusa di aver convertito qualcuno al cristianesimo.
Nel 1999, tuttavia, è stata presa una decisione la cui novità e portata non deve sfuggire ai missionari che, in altre parti del mondo, potrebbero considerarla cosa scontata. Si è deciso di accogliere ed accompagnare in un cammino catecumenale coloro che, da tempo e con insistenza - soprattutto fuoricasta e tribali - chiedono di seguire il Cristo come battezzati. La decisione di accettare questa sfida è ben motivata nello Spirito: non si può negare il diritto di essere cristiano a chi genuinamente vuole esserlo. Certo, ci vuole discernimento, prudenza, calma... Ma neppure possiamo noi chiudere la porta in faccia allo Spirito Santo!
Quinta scelta: Accoglienza nella famiglia saveriana
Un’altra decisione significativa per la visione missionaria dei saveriani in Bangladesh è quella presa nel 1992 di accogliere nella famiglia saveriana giovani bangladeshi che ne sentissero il desiderio. E’ stata una decisione lungamente pensata.
Mi piace sottolineare un aspetto particolare di questa decisione: essa concretizza l’esigenza, così fortemente sentita, dell’inculturazione. Accogliere vocazioni bangladeshi significa prima di tutto esprimere fiducia nei confronti della cultura di questi popoli. Il dover trattare alla pari e condividere tutto con i confratelli bangladeshi comporta anche che noi valutiamo e rivediamo tanti nostri atteggiamenti nei confronti della gente tra cui lavoriamo.
E’ una scelta che trasforma nel profondo la coscienza stessa della missione: una missione un po’ meno a senso unico, un po’ più come incontro tra persone chiamate ad annunciare l’unico Cristo salvatore all’interno di sensibilità e culture diverse, ma tutte permeate dallo stesso vangelo.
Un tesoro di cose vecchie e nuove
Le scelte fatte in passato hanno illuminato e continueranno ad illuminare il cammino dei saveriani in Bangladesh. Siano convinti che lo Spirito di Cristo, che ci ha accompagnato dagli inizi fino ad oggi, ci sospinge verso un futuro sempre nuovo.
Spetta a noi dimostrare la saggezza di quell’evangelico "padrone di casa che sa estrarre dal suo tesoro cose vecchie e cose nuove" (Mt 13,52).
p. Lorenzo Valoti, Superiore in Bangladesh.