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Nelle Filippine la gente vive in strada. Quando giro a piedi per la nostra parrocchia di San Francesco Saverio, a nord-est della capitale Manila, incontro tantissime persone di età diverse.

I bambini giocano, divertendosi in modo semplice. I giovani non riescono a fare a meno della loro “barkada”, cioè il gruppo di amici che dà loro sicurezza e identità. E poi le mamme e i papà che vanno al mercato o a prendere i figli a scuola. Gli anziani, se sono ancora in salute, si siedono all’ombra fuori dalla casa per chiacchierare con qualche conoscente e trascorrere la giornata. Gli anziani non sono mai abbandonati: la “famiglia estesa” si occupa di loro. Anche se la situazione di molte famiglie è difficile a causa della povertà, la gente è comunque sempre sorridente e propensa a dare il benvenuto a chiunque, anche agli sconosciuti.

Noi saveriani viviamo la nostra missionarietà in questa realtà. Uno di noi, chiamato ad annunciare Cristo a chi ancora non l’ha incontrato, può vivere la sua missionarietà in un contesto dove più dell’80% delle persone è cattolico? Noi crediamo di sì, attraverso due modalità.
La prima. Abbiamo accolto con grande gioia l’invito di papa Francesco ad essere Chiesa in uscita, diretta alle periferie geografiche ed esistenziali. Nelle nostre scelte pastorali teniamo sempre a mente coloro che per diversi motivi si sono allontanati dalla comunità cristiana. E quindi è sorto un gruppo che, una volta individuata un’area più debole della parrocchia, settimanalmente ritorna per incontrare le persone. Uno strumento efficace è quello della Parola di Dio e del gruppo di ascolto. L’altra scelta, molto apprezzata, è quella della visita settimanale agli ammalati da parte di alcuni laici. Noi ci uniamo a loro e, in questo modo, possiamo portare la Parola di Dio e l’Eucarestia, facendoci compagni di cammino di chi più soffre.

La seconda modalità è quella a noi più cara. All’interno della parrocchia si trova la Comunità dei Teologi saveriani, che si preparano a diventare missionari. Sono seminaristi, appartengono a 9 diverse nazionalità. Siamo riusciti a organizzare attività, specialmente durante il mese missionario straordinario, lo scorso ottobre. Abbiamo condiviso con i nostri parrocchiani le differenti culture, le tradizioni, gli abiti e i cibi. Abbiamo notato l’interesse della gente a conoscere l’altro e questo fa sì che ci apriamo davvero sul mondo. Così si diventa missionari, desiderando di incontrare l’altro, con tutta la sua ricchezza.

Inoltre, abbiamo organizzato un momento di testimonianza con due ragazze musulmane. I parrocchiani hanno ascoltato con grande interesse e stupore, facendo tante domande per comprendere l’Islam e trovare una risposta ad alcune contraddizioni. Ricordo con grande gioia, l’affetto materno che le nostre signore hanno voluto esprimere a queste due ragazze al termine dell’incontro.

Come saveriani, ci sentiamo missionari e realizzati secondo il nostro carisma che è “Fare del mondo una sola Famiglia, in Cristo”, anche in un Paese a maggioranza cattolica. Possiamo rispondere alla vocazione di essere missionari, ovunque ci troviamo. Ciò che importa, è avere il cuore e gli occhi aperti sul mondo.



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