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Ogni anno, come arriva il compleanno, ritorna anche l’Ottobre missionario, per ricordarci che “annunciare il Vangelo fuori dalla propria patria non è un optional da fare solo se avanzano tempo e personale”. La missione è termometro di una Chiesa adulta.

Il tema di quest’anno, “Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (Atti 4,20), è un forte invito a ciascuno di noi a “farci carico” e a far conoscere ciò che portiamo nel cuore. Questa missione è, ed è sempre stata, l’identità della Chiesa: essa esiste per evangelizzare (Evangelii Nuntiandi 14). La nostra vita di fede si indebolisce, perde profezia, capacità di stupore e gratitudine nell’isolamento personale o restringendosi a piccoli gruppi.

I primi cristiani, lungi dal cedere alla tentazione di chiudersi in una élite, furono attratti dal Signore e dalla vita nuova che Egli offriva: andare tra le genti e testimoniare quello che avevano visto e ascoltato, ovvero che il Regno di Dio è vicino. Lo fecero con la generosità, la gratitudine e la nobiltà proprie di coloro che seminano sapendo che altri mangeranno il frutto del loro impegno e del loro sacrificio. Perciò, mi piace pensare che anche i più deboli, limitati e feriti possano essere missionari a modo loro, perché bisogna sempre permettere che il bene venga comunicato, anche se coesiste con molte fragilità (Papa Francesco - Cristo vive n.239).

Sono missionario con la vita, la preghiera, il sacrificio, l’offerta, la sofferenza. Vivere la missione è avventurarsi a coltivare gli stessi sentimenti di Cristo Gesù e credere con Lui che chi mi sta accanto è pure mio fratello e sorella. Che il suo amore di compassione risvegli anche il nostro cuore e ci renda tutti discepoli missionari.



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