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Cinquecento! Tanti sono gli anni dall’arrivo di Magellano nelle Filippine, che coincidono con l’inizio del cristianesimo in questo arcipelago del Sud-Est Asiatico. Più del 90% della popolazione è cristiana e i cattolici sono la maggioranza con una percentuale dell’80%.

Su questo importante anniversario per la Chiesa filippina si è abbattuta pesantemente la Pandemia. Molti degli eventi in programma sono stati prima rinviati e poi cancellati. Magellano arrivò qui nel 1521 con l’intento di conquistare questo arcipelago di isole sotto la corona di re Filippo II. E così avvenne. Ma è interessante la lettura riportata da qualche studioso e da alcuni vescovi, che si discosta dalla versione dei libri di scuola. Il coraggioso capitano mercenario, inaspettatamente, non si trova davanti persone avverse. Al contrario vennero accolti con calore, soprattutto perché le popolazioni di queste isole ben conoscevano le avversità del mare e spontaneamente portarono aiuto all’equipaggio che doveva essere ben provato dopo un lungo viaggio.

Magellano fu impressionato da questa calorosa accoglienza e generosa ospitalità e cambiò la sua attitudine. Noi missionari, dopo 500 anni, ben capiamo l’esperienza di Magellano perché, a nostra volta, abbiamo sperimentato la fraterna accoglienza, la gentilezza e la bontà del popolo Filippino. A questo si unisce, dopo 500 anni, una fede robusta e ben radicata nelle persone. Mi viene alla mente l’esperienza di Paolo e Timoteo nel capitolo 16 degli Atti degli Apostoli quando i due discepoli incontrarono un gruppo di donne, tra cui Lidia. Quest’ultima invitò i due ad andare a casa e a rimanere là con la sua famiglia. È bello pensare che Lidia abbia invitato i due a fermarsi, perché anche loro avevano bisogno di rigenerare la fede, ravvivare il loro credere in Gesù attraverso la fede di Lidia e della sua famiglia.

È l’esperienza eccezionale dei missionari. La nostra fede si rafforza e cresce perché facciamo esperienza della fede robusta, vivace, spontanea, autentica delle persone che Dio ci mette sul nostro cammino. A questo punto una domanda sorge spontanea. Perché un paese dalle radici cristiane e cattoliche profonde si ritrova ad avere un sistema politico e amministrativo così corrotto? Anche la Chiesa Filippina si sta interrogando su questo punto. In un interessante articolo, scritto da un missionario filippino, si legge che i filippini cristiani sono sacramentalizzati ma non ancora evangelizzati.

Questa lettura della realtà, in parole semplici, ci dice che c’è una tendenza a dividere, separare ciò che è sacro (il rapporto con Dio e la liturgia) dalla vita di ogni giorno, l’economia, l’amministrazione, la politica. Sembrano due mondi separati, nel senso che i valori del Vangelo non sempre plasmano, danno direzione alle decisioni che sono prese nel mondo della politica, dell’economia, della società in genere. La sfida rimane grande e non solo qui nelle Filippine.

Vorrei concludere con un ultimo aspetto, rilevante per noi Saveriani. La Chiesa filippina è consapevole del suo ruolo di evangelizzazione nel continente Asiatico dove soltanto una percentuale pari a meno dell’1% è cattolica. Il motto scelto per questo quinto centenario è: “Gifted to give”. Possiamo tradurlo con “Ricchi per condividere”. I filippini sentono di aver ricevuto un dono grande, la fede, e quindi desiderano condividerlo con altri, anche con coloro che appartengono a religioni diverse.
Il Dialogo interreligioso continua ad essere la missione a cui è chiamata la Chiesa filippina e la Chiesa in Asia. Ma su questo punto desidero condividere con voi i passi che stiamo compiendo nel prossimo numero.



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