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In novembre si ricordano, in modo particolare, i defunti. Tra loro anche i nostri missionari. Grazie ai numerosi scritti, un vero e proprio “Diario dell’Amazzonia”, p. Angelo Pansa ci offre simpatici ritratti di questi missionari ormai in contemplazione del Regno dei Cieli. A noi piace commemorare questi apostoli nel loro quotidiano. Si evince facilmente dalle descrizioni di p. Angelo la vita dura, ma vissuta con semplicità e serenità da p. Urbani che aveva fatto della barca la sua dimora e del tessere le reti un modo per aiutare i pescatori poveri del fiume (p. F. Raffaini, sx).

Durante i corsi che avevo tenuto nella parrocchia di Mojù, guidata da p. Giovanni (Joãozinho) Urbani (1910-1978), mi ero reso conto delle difficoltà che egli doveva affrontare. Le varie comunità dell’interno potevano essere raggiunte soltanto mediante la barca che lui usava anche come casa. E nella parrocchia di Mojù non c’era nessuna costruzione all’infuori della chiesa. 

In accordo con il responsabile delegato, ho deciso di aiutare la parrocchia del Mojù costruendo un’abitazione e una sala di riunioni che servissero la prima come casa per p. Joãozinho, la seconda per le riunioni di catechesi. In tre mesi di lavoro la casa e il salone erano pronti e terminati. Finalmente, anche p. Joãozinho poteva lasciare la barca ormeggiata sulla riva del fiume e dormire tranquillo sulla terra ferma. Era molto stimato e benvoluto dalla popolazione della parrocchia e dai ribeirinhos. Uomo buono, sempre in movimento, era attento alle necessità delle famiglie che incontrava nei suoi viaggi lungo il fiume Mojù. A volte si spingeva fino a quasi raggiungere le sorgenti del fiume a una distanza di 12-14 giorni di navigazione.

Dedicava parte del suo tempo alla pesca. Usava una rete che egli stesso aveva tessuto. A bordo teneva un barile di legno nella quale conservava i pesci sotto sale. Lungo il viaggio di ritorno donava parte del suo pesce alle famiglie numerose e più povere. Erano così numerose queste famiglie che spesso non rimaneva più pesce nel barile. Rientrato alla base, la prima cosa che faceva era quella di controllare l’imbarcazione e il motore. Capitava che dovesse effettuare riparazioni e revisioni, garantendo un’imbarcazione sempre in ordine e pronta all’uso.

Un giorno, rientrando dal lavoro di manutenzione con le mani ancora sporche di grasso, incontrò sulla porta della Chiesa (sempre aperta, giorno e notte) un giovanotto feritosi con il machete. Il suo braccio sanguinava. P. Joãozinho, sempre pronto a curare ammalati e feriti, corse alla sua imbarcazione, prese la valigetta per Pronto Soccorso e ritornò alla Chiesa. Ma si accorse che le bende erano finite. Non sapeva cosa fare. Mentre pensava il da farsi, l’occhio gli scappa sulla candida tovaglia dell’altare. Fa un taglio sul bordo della tovaglia e poi, tenendola ferma, strappa una lunga striscia del tessuto con la quale riesce a fermare il sangue che usciva dalla ferita.

La suora che aveva visto la scena da lontano si precipita in chiesa ed esclama: “Cosa ti è saltato in mente, p. Joãozinho, di rovinare la tovaglia nuova dell’altare!”. “Avevo finito le bende della cassetta del pronto soccorso... e poi per il Bambin Gesù il resto della tovaglia è più che sufficiente!”. A quelle parole, la suora non seppe aggiungere altro... P. Joãozinho tirò un sospiro di sollievo per essersela cavata così a buon mercato. Dal canto suo, il Bambin Gesù sorrideva soddisfatto mentre guardava il ragazzo ferito e fasciato mentre si allontanava dalla chiesa. Sembrava aver condiviso la buona azione del padre missionario, perché ci aveva messo un po’ del suo, un pezzo della sua tovaglia.

Questo piccolo episodio richiama un po’ il clima dei racconti di Guareschi. Uomini semplici in situazioni difficili, ma con un cuore grande e saggio. Sentimenti che hanno animato i nostri missionari ormai volati in cielo e che a noi piace ricordare qui. Ci mostrano uno stile di vita povero, ma attento a ciò che succedeva attorno. Una vita che si nutriva della soddisfazione di fare bene… il bene. “Qualsiasi cosa fate al più piccolo dei miei fratelli l’avete fatta a me!”.



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