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Giovanni Didoné

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Giovanni Didoné (18.03.1930 - 28.11.1964) nasce a Cusinati di Rosà (Vicenza). A undici anni si consacrò alla Madonna. Poco tempo dopo, Giovanni svela ai genitori il proposito di farsi sacerdote missionario.

Il papà non aveva preclusioni sulla scelta del figlio di farsi prete, purché si facesse secolare. Fu per questa ragione che Giovanni entrò nel seminario di Padova.

Il futuro missionario dovrà attendere l'età di 20 anni per ottenere l'assenso, sofferto, del papà sulla sua scelta. Giovanni emette la professione religiosa nella congregazione saveriana, il 12 ottobre 1951, in San Pietro in Vincoli, allora sede del Noviziato. Subito dopo, per iniziare gli studi liceali, si trasferisce con i compagni a Desio.

Agli inizi del 1958 Giovanni è a Piacenza, nella casa saveriana di santa Chiara. Il 20 settembre dello stesso anno, presenti i genitori e i fratelli, Giovanni Didonè riceve il diaconato dalle mani di monsignor Battaglierin. Il 9 novembre è ordinato prete.

P. Didonè parte per la missione il 3 dicembre 1959 - festa di San Francesco Saverio, patrono dell'Istituto Saveriano - per la diocesi di Uvira (nel Kivu, RD Congo) dove verrà assegnato a diverse missioni: Uvira, Baraka, Fizi, Kiliba. Uno dei tanti problemi che affronta il missionario saveriano è quasi irrisolvibile: si tratta di far superare i desideri di vendetta tra clan indigeni e, nel contempo, far cadere i giudizi negativi dei congolesi nei confronti dei bianchi.

Nella tarda primavera del 1962 p. Didonè è a Fizi con un compito preciso: costruire una chiesa per la sua comunità. - L'11 febbraio 1963 la chiesa è consacrata.

La ricostruzione delle ultime ore di vita del missionario saveriano si deve a padre Palmiro Cima che, tornato nei luoghi dell'eccidio nel gennaio 1966, potè raccogliere informazioni da testimoni oculari.

FEDELTA' FINO ALLA MORTE

Il 28 novembre 1964 un capo periferico della guerriglia, tal Abedì Masanga, autoproclamatosi colonnello, uccide nella missione di Baraka p. Luigi Carrara e fr. Vittorio Faccin. Lo stesso giorno il rivoluzionario risale a Fizi (...) Si dirige dapprima alla casa che serve da quartier generale al generale Shabani, comandante in capo di tutte le forze dell'Armata popolare di liberazione dell'Est. Masanga informa il generale sull'eccidio che ha compiuto a Baraka e gli manifesta l'intenzione di completare l'opera con l'uccisione anche dei religiosi che risiedono a Fizi. Shabani si mostra contrariato per l'assassinio dei padri di Baraka e mette in guardia Masanga dal ripetere un simile gesto a Fizi. Qualcuno ha raccolto le battute dell'acceso diverbio tra i capi dei ribelli. "Se uccidi i padri che vantaggio ne ricavi?", chiede il generale a Masanga. E questi, di rimando: "Ormai che sono morti quelli di Baraka, perché devono restare vivi quelli di Fizi?". E' la logica della violenza.

La decisione, comunque, è presa. Sono circa le sei del pomeriggio quando la jeep di Masanga con il sedile anteriore intriso del sangue di fr. Faccin, si arresta davanti alla grande statua dell'Immacolata che domina l'entrata della missione di Fizi, a pochi passi dalla chiesa. Masanga scende dalla vettura e chiama ad alta voce p. Didonè. Il missionario non ha neppure il tempo di uscire che un proiettile lo colpisce in fronte. Cade senza un lamento. L'abbé Atanasio Joubert, che seguiva p. Didonè, ha appena il tempo di afferrare la tragicità dell'evento. Dopo un attimo d'incertezza si lancia verso una scarpata a pochi passi dalla casa dei religiosi.

Troppo tardi: un proiettile lo raggiunge al cuore. Si accascia morente fra l'erba di un folto cespuglio.(...) Perché tanta ferocia contro uomini inermi?

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