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WATOTO SAWA SAMAKI (bambini come pesci)

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3.WATOTO SAWA SAMAKI (bambini come pesci)

Un villaggio dopo l’altro, il viaggio continua. Una mattina arriviamo in una baia meravigliosa, con una spiaggia bianca, le case che fanno da sfondo e in alto le palme. Quando ci avviciniamo verso riva, i bambini si buttano in acqua come mamma li ha fatti e nuotano che è un piacere (sembrano dei pesci che vivono da sempre in quell’elemento). E insieme a loro, i piccoli anatroccoli sguazzano e fanno commenti, vedendo la nostra barca.

Ma c’è un piccolo problema. Non possiamo arrivare fino a riva, altrimenti rischiamo di incagliarci. Viene una piroga vicino a noi e bisogna trasbordare tutto, noi stessi compresi. Ci sono un po’ di onde e bisogna trovare il tempo giusto per saltare da una parte all’altra. Con un po’ di fortuna, riesco ad atterrare nella piroga. Un sospiro e poi via verso la riva. Solite strette di mano, sorrisi, benvenuti. Tutti vogliono aiutarti a portare i bagagli e ti accompagnano fino alla casa del responsabile della comunità. Ci fanno sedere sulle sedie, ci laviamo le mani e un po’ di riso con il pesce porta sollievo allo stomaco. Poi è il tempo di parlare, di condividere, prima di salire sulla collina dove c’è la chiesetta che ha sullo sfondo il lago.

Un panorama speciale. Un po’ di riposo, il tempo per lavare i vestiti e stenderli sull’erba ad asciugare. Un po’ di preghiera e un colloquio con chi ha delle cose da comunicare. Poi nella chiesetta, piena di tante persone.

I bambini stanno dappertutto, fin sotto l’altare, in mezzo ai piedi. E’ difficile muoversi, ma è bello sentirsi a casa. Loro ci aspettavano e non possiamo deluderli.

Il tempo passa e il sole comincia la sua parabola discendente. Si cominciano ad accendere i fuochi della sera. Le mamme preparano qualcosa per la cena. Non sarà molto varie: riso e pesce. Per le emergenze c’è sempre la scatoletta di tonno. Domani mattina ci offriranno del thè con le banane fritte. Ma intanto un’ultima chiacchierata e ci si stende sul letto di legno, un po’ duro, ma è quello che usano o meglio che offrono all’ospite. Molti si riposano sulle stuoie.

Niente armadi, ma fili attaccati alle pareti su cui si stendono i vestiti. Altri staranno nelle valigie. In un angolo l’anfora dell’acqua a cui, ogni tanto, qualche topo chiede qualche goccia d’acqua….si cerca di dormire. In lontananza, si sentono i suoni dei tamburi. In qualche villaggio si fa festa.

Qui da noi, sulla spiaggia i pescatori accendono le lampade per la pesca notturna. La sveglia è presto. Il viaggio è ancora lungo, anche se siamo quasi alla fine della parrocchia. Tutti ci accompagnano a riva e puntiamo a sud. Altri incontri ci aspettano. Incrociamo le barche dei pescatori che ritornano a riva.

Li salutiamo e chiediamo se tutto è andato bene. Più o meno come sempre. Gli “ndagala” (i pesciolini) sono finiti in rete. Qualcuno, più fortunato ha pescato dei “capitaine” (un metro e mezzo) e lì faranno buoni affari. Il lavoro poi continuerà sulla spiaggia. Stenderanno il pesce a seccare, poi lo metteranno nei sacchi di iuta. Da lì, nei “boti” (barconi da trasporto) per portarli ai mercati della città.

(3. continua)



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