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Mama, chakula iko tayari? (mamma, il pranzo è pronto?)”.

A noi verrebbe spontaneo chiederlo, quando si ritorna a casa, ma non per tutti è così. E allora proviamo a fare una salto di seimila chilometri e andare in Africa a vedere come funzionano le cose da quelle parti. Avendoci trascorso quasi tredici anni e mezzo, mi sembra di poter dire di conoscerne qualcosa. Al mattino presto, tutti i membri della famiglia vanno, ciascuno, alle loro faccende. Il papà va a lavorare, o nei campi o in altri luoghi. La mamma, di solito, dopo aver salutato i figli , si carica sulle spalle i bambini più piccoli e se ne va a lavorare nei campi. Gli altri invece si mettono in cammino per la scuola.

Dimenticavo! La colazione? Non è necessaria (non c’è). La scuola è lontana e bisogna andare via leggeri…Le ore passano e la fame comincia a farsi sentire- Si mangia qualcosina, portata da casa o comperata nel cortile della scuola (una banana, un mezzo panino con della pasta o…molta fantasia, guardando gli altri mangiare! In ogni caso, c’è sempre qualcuno di buon cuore che ti darà un pezzettino del suo spuntino). Anche le mamme sgranocchiamo qualcosa, riposandosi sotto un albero insieme ai bambini più piccoli. I papà vanno a bere un po’ di birra di banane per calmare la fame.

Poi, finalmente si ritorna a casa. Ma niente è ancora pronto. Allora cominciano le grandi manovre. I ragazzi a pulire la casa, le ragazze ad attingere acqua, la mamma a mettere una pentola sul fuoco con un po’ di acqua in cui ci butta della farina di manioca (che il giorno prima aveva pilato insieme alle amiche). In un’altra, l’olio di palma come condimento, insieme a qualche pezzettino di carne e delle erbe cotte.

E i papà? Beh, loro sorvegliano che tutto vada alla perfezione. Finalmente, dopo aver girato e rigirato vigorosamente con un bastone la farina, diventata polenta e averla poi rovesciata in un vassoio, si grida che tutto è pronto. E i primi arrivano? Chi saranno mai? Risposta semplice: gli uomini di casa (non sono forse stati creati per primi?).

Si fa passare una bacinella con l’acqua e sapone per lavare le mani, poi ci si mette in cerchio, dove ognuno prende una pallottolina di manioca, l’intinge nel sugo e se la porta alla bocca e così, in silenzio, fino a finire il vassoio. Idem per il resto. I bambini guardano e cominciano ad avere l’acquolina in bocca, ma devono aspettare. Loro sono l’ultimo anello, quello più debole.

Quando saranno grandi potranno mangiare di più. Ora si devono accontentare. Le mamme capiscono il loro problema.

Mandano la sorella più grande con due vassoi e tutti in cerchio, si guardano un istante. Poi, via, si comincia. E’ un rito molto gustoso. Le dita diventano rosse per l’olio di palma. Nessun problema le puliranno dopo. Ora hanno cose più importanti da fare. Non devono perdere il tempo, altrimenti qualcuno mangerà più di loro. La battaglia è presto vinta, ma la fame rimane ancora.

Qualcuno si avvicina alla mamma e la guarda con due occhi così teneri, come per dirle: “Per caso, ce n’è ancora?”. E la mamma si lascia commuovere. Prende un po’ di quella che è la sua parte e gliela dà.

E’ mamma e ha il cuore grande.

Tutte queste cose, naturalmente, le ho viste, quando sono stato invitato a pranzo in qualche casa e mi sono fatto delle domande. A me davano da mangiare per primo, essendo l’ospite. Ma mi chiedevo come potevo aiutarli.

Come si dice, “non si è solo fratelli in Gesù Cristo, ma anche nella pignatta”.

Allora lasciavo apposta qualcosa per loro, così me li facevo amici. Io potevo anche farne a meno (a casa avrei recuperato), ma per loro era l’unica occasione della giornata per riempirsi lo stomaco.



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