Messaggio del PADRE GENERALE per la Giornata Missionaria Mondiale
[dal sito della Direzione Generale] *
«Fattosi giorno, Gesù uscì e si ritirò in un luogo isolato, ma la folla andò in cerca di lui. Quando lo raggiunsero, volevano trattenerlo con loro e non lasciarlo più partire. Ma Gesù disse loro: “Anche agli altri villaggi io devo annunziare il regno di Dio. Per questo Dio mi ha mandato”. E Gesù andò ad annunziare il suo messaggio nelle sinagoghe della Giudea» (Lc 4,42-44).
Carissimi,
due eventi marcano la vita ecclesiale in questo mese di ottobre: il mese missionario straordinario, a cento anni dalla promulgazione della Lettera apostolica Maximum illud da parte di Benedetto XV, e la celebrazione del Sinodo Speciale sulle Chiese in Amazzonia. Bella coincidenza!
Al centro di essi si trova la missione che Gesù Cristo ha affidato alla Chiesa: «Ma riceverete la forza dello Spirito Santo, che sta per scendere su di voi. Allora diventerete miei testimoni in Gerusalemme, in tutta la regione della Giudea e della Samaria e fino agli estremi confini della terra» (At 1,8).
Mi viene spontaneo chiedermi: e noi, come Famiglia missionaria, come ci situiamo in questo mese? I due eventi ci toccano da vicino: da una parte, siamo missionari, e dall’altra siamo presenti nella regione amazzonica da circa sessanta anni. Qual è o può essere il nostro contributo, che cosa apporterà di positivo per la nostra vita di consacrati alla missione ad gentes?
Papa Francesco, annunciando questo Mese straordinario, scriveva: «Indico un Mese missionario straordinario nell’ottobre 2019, al fine di risvegliare maggiormente la consapevolezza della missio ad gentes e di riprendere con nuovo slancio la trasformazione missionaria della vita e della pastorale».
E nel messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale ha scritto: «La provvidenziale coincidenza con la celebrazione del Sinodo Speciale sulle Chiese in Amazzonia mi porta a sottolineare come la missione affidataci da Gesù con il dono del suo Spirito sia ancora attuale e necessaria anche per quelle terre e per i loro abitanti. Una rinnovata Pentecoste spalanca le porte della Chiesa affinché nessuna cultura rimanga chiusa in sé stessa e nessun popolo sia isolato ma aperto alla comunione universale della fede. Nessuno rimanga chiuso nel proprio io, nell’autoreferenzialità della propria appartenenza etnica e religiosa».
Mi rendo conto ogni volta di più che l’invito che il Signore Gesù ci ha fatto di lavorare nella sua vigna comporta da parte nostra una grande responsabilità. Egli ha fissato il suo sguardo su di noi e ha pronunciato il nome di ciascuno. Facendolo ci ha voluto associare alla Missio Dei. «L’Istituto si pone a totale servizio del Regno di Dio nella Chiesa, che ne costituisce nel mondo il germe e il sacramento. La nostra missione ci chiede di proclamare il Regno là dove non è ancora riconosciuto, di denunciare quanto vi si oppone, di indicarlo già presente nei segni, di collaborare alla sua venuta» (C 7).
Vorrei quindi sottolineare, sotto la forma di condivisione, quattro punti che mi sembrano importanti per noi, «uomini chiamati a consacrare a Dio la loro vita per lo stesso ideale» (C 1), in questo momento. Potrebbe essere il nostro contributo all’iniziativa di papa Francesco.
- Chiarezza nel linguaggio quando parliamo di missione. La missione della Chiesa è una: annunciare la Buona Notizia del Regno di Dio (Mc 1,15). In questa unica missione affidata alla Chiesa, noi, Missionari Saveriani, abbiamo un posto ben particolare e preciso: la missione Ad Gentes. «Fine unico ed esclusivo dell’Istituto è l’annuncio della buona novella del Regno di Dio ai non cristiani» (C 2). È salutare ricordare la enciclica Redemptoris Missio al nº 34: «L'attività missionaria specifica, o missione ad gentes, ha come destinatari “i popoli e i gruppi che ancora non credono in Cristo”, “coloro che sono lontani da Cristo”, tra i quali la chiesa “non ha ancora messo radici” e la cui cultura non è stata ancora influenzata dal Vangelo. Essa si distingue dalle altre attività ecclesiali, perché si rivolge a gruppi e ambienti non cristiani per l'assenza o insufficienza dell'annunzio evangelico e della presenza ecclesiale (…) Occorre, perciò, evitare che tale “compito più specificamente missionario, che Gesù ha affidato e quotidianamente riaffida alla sua chiesa”, subisca un appiattimento nella missione globale di tutto il popolo di Dio e, quindi, sia trascurato o dimenticato».
Ecco la missione che la Chiesa ci ha affidato in un modo particolare. Non potrebbe essere questa una bella e provvidenziale occasione per rivedere con coraggio, alla luce del carisma ricevuto e quindi affidatoci, le nostre presenze missionarie? Rispondono esse a ciò che la Chiesa aspetta da noi?
- «Io sono la vite. Voi siete i tralci. Se uno rimane unito a me e io a lui, egli produce molto frutto; senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5). La nostra vita di persone consacrate a Dio nella missione ad gentes ha come base e fondamento l’unione stretta con Gesù Cristo. Non c’è alternativa! O ci siamo o non ci siamo. Più forte è questa unione più si vedono i frutti del Regno. Per contro, la debolezza, il raffreddamento, la mancanza di slancio… dell’attività missionaria ad gentes sono rivelatori di una carenza di vita d’unione con il Signore.
«La preghiera è la prima attività del missionario, sostegno della sua fedeltà e del suo impegno apostolico. Sull’esempio del Signore, …» (C 43). Rinnovare la nostra fedeltà all’incontro frequente e assiduo con Lui, deve essere uno dei regali più belli che offriamo alla Chiesa in questo mese.
- «Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo» (EG 273). Nei giorni scorsi ascoltando la lettura del libro di Giona mi è venuto in mente questa bella affermazione di Papa Francesco. Infatti, Giona, che suo malgrado annuncia il messaggio di conversione al popolo di Ninive e una volta terminato si ritira per vedere la “vendetta” del Signore su di essi, è portatore di un messaggio con il quale non si identifica. Questo è il dramma di Giona, e potrebbe essere anche il dramma di chi fra di noi distingue – per esempio – la parte “pubblica” e quella “privata” della propria personalità, come se fossero due realtà completamente differenti nella stessa persona.
«La missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi». La missione alla quale il Signore ci associa coinvolge tutto il nostro essere. Io sono uno, non due. Si tratta in fondo dell’unificazione di tutto il nostro essere (pensieri, parole, azioni, sentimenti, desideri) intorno ad essa. Non possono esserci delle crepe più o meno visibili che faciliterebbero la connivenza con una mentalità e maniera di essere opposta alla missione affidataci, e che finirebbe per ridurci al nulla.
«(L’Incarnazione) ci chiede comunione di vita e di destino con i fratelli ai quali siamo inviati fino alla condivisione dei loro problemi e del loro cammino di liberazione» (C14). E questo avviene solo quando ci lasciamo coinvolgere totalmente dalla presenza e azione dello Spirito, sentendoci a nostro agio con la parola data il giorno della nostra professione, quando Dio ci ha consacrati. Non ci sono missioni di prima categoria e missioni di seconda categoria. Il luogo teologico per eccellenza per ognuno di noi è lì dove il Signore ci invia. Ed è proprio lì che Egli ci attende per camminare insieme, non secondo i nostri criteri particolari ma secondo i suoi. «Fedeli alle preferenze di Cristo, ci rivolgiamo in particolare, tra i non cristiani, ai destinatari privilegiati del Regno: i poveri, i deboli, gli emarginati dalla società, le vittime dell’oppressione e dell’ingiustizia» (C 9).
- Siamo una Famiglia, siamo un Corpo. «Il Signore, per mezzo del Fondatore, ci ha riuniti in una famiglia religiosa, per rendere presente tra i non cristiani la Chiesa che è comunione e fraternità nuova in Cristo» (C 35). Famiglia spirituale che ha la sua origine quindi nella comunione di Dio Trinità, e allo stesso tempo è chiamata a renderla visibile tra i non cristiani.
Le difficoltà che a volte troviamo per rendere questa testimonianza di comunione devono aiutarci ad andare in profondità per trovarne le cause. È possibile che la grazia di Dio non possa rieducare le nostre fragilità umane? Perché a volte, qui e là, si fa fatica a vivere insieme, a lavorare insieme? E talvolta si sente addirittura dire, forse scherzando, che la vita comunitaria sarebbe un impedimento per la missione ad gentes. Mi viene in mente il bel documento Vita fraterna in comunità, dove dice: «La comunità religiosa è il luogo ove avviene il quotidiano paziente passaggio dall'"io" al "noi", dal mio impegno all'impegno affidato alla comunità, dalla ricerca delle "mie cose" alla ricerca delle "cose di Cristo"» (n 39).
Papa Francesco, nel saluto che ha fatto il 30 settembre scorso ai rappresentanti degli otto istituti missionari di fondazione italiana, ci ha detto chiaramente: «Aiutate (il popolo di Dio) a ricordare che la missione non è opera individuale, di “campioni solitari”, ma è comunitaria, fraterna, condivisa». Aiutiamoci a camminare insieme! Poiché la nostra testimonianza di vita fraterna in comunità è voluta e desiderata da Dio «teniamo lo sguardo fisso in Gesù: è lui che ci ha aperto la strada della fede e ci condurrà sino alla fine»(Eb 12,2). «E vivremo di una tal vita, se prenderemo la Fede a regola indeclinabile della nostra condotta per guisa che informi i pensieri, le intenzioni, i sentimenti, le parole e le opere nostre. Vivremo di questa vita se in tutte le contingenze terremo Cristo innanzi agli occhi della nostra mente, ed egli ci accompagnerà ovunque…» (LT 7).
Buona preparazione alla festa del nostro padre san Guido M. Conforti.
Fraternamente, Fernando García Rodríguez, sx
Roma, 15 ottobre 2019.