RD Congo, Il movimento M23 viola il cessate il fuoco: Strage a Kishishe (Nord Kivu)
SONO SCAPPATI DAI MASSACRI DI KISHISHE E SI TROVANO AMMASSATI IN UN CAMPO PROFUGHI
Il 29 novembre, nel loro villaggio di Kishishe, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, hanno visto gli orrori dei massacri, hanno deciso di fuggire e, nella paura e nel freddo, hanno camminato per decine di chilometri, per scappare dalle violenze del Movimento del 23 marzo (M23).
A seconda del percorso intrapreso, Samuel, Tuyisenge, Eric, Florence e altri hanno percorso 40 o 60 km a piedi, per arrivare fino al campo profughi di Mungote, situato nei pressi di Kitshanga, nel territorio di Masisi.
«I miliziani dell’M23 hanno iniziato a sparare ovunque», ha detto Samuel, un uomo molto giovane, che ha detto di aver visto sei morti: tre membri della sua famiglia, tra cui suo fratello maggiore, James, e altri tre abitanti di Kishishe. «Ho deciso di fuggire e mi ci è voluta una settimana per arrivare qui a Kitshanga», ha aggiunto.
Tuyisenge è una mamma di 30 anni. «Ero in chiesa e sono riuscita a scappare. Alcuni sono rimasti e sono stati uccisi. Ho visto nove morti», dice con le lacrime agli occhi. «Ho sette figli, ma sono arrivata qui con tre. Gli altri quattro sono scomparsi e di mio marito non ho nessuna notizia», aggiunge, circondata da altre donne che, anch’esse, vogliono raccontare il terrore che hanno vissuto. Non hanno niente, solo i vestiti che indossavano quando sono scappati.
Poco più avanti, tra le baracche degli sfollati, Florence, 45 anni, spiega di aver camminato diversi giorni per arrivare fin qui. Non ha notizie né del marito né di due dei suoi figli. «Qui, nel campo profughi, chi ha pietà di me mi dà alcune patate dolci da mangiare», sussurra tristemente.
Eric è ossessionato dal ricordo dei due figli del fratello maggiore che «sono usciti di casa gridando “stanno sparando”. Sono stati colpiti proprio sulla porta e sono morti sul colpo, si chiamavano Jacques e Musayi».
Secondo i suoi responsabili, il campo di Mungote ospitava già più di 40.000 famiglie e circa altre 4.000 sono arrivate negli ultimi giorni. «Fino a quattro famiglie dormono in una sola capanna, uomini, donne e bambini. La gente sta morendo», ha detto Vumilia Peruse, vicepresidente del campo. «Arrivano senza niente… Le autorità devono intervenire al più presto, per evitare una catastrofe», ha detto allarmata.
«Pensavamo che questa guerra fosse tra soldati e che non ci avrebbe toccati. Invece su uccide proprio la popolazione civile», commenta Toby Kahunga, presidente della società civile del distretto di Bashali, chiedendo che «il presidente ruandese Paul Kagame ritiri le sue truppe».[1]
IL MESSAGGIO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Il 3 novembre, di fronte all’incremento dell’insicurezza nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDC), in particolare nel Nord Kivu dove il Movimento del 23 marzo (M23), appoggiato dal Ruanda, occupa diverse località nel territorio di Rutchuru, il Capo dello Stato Félix-Antoine Tshisekedi Tshilombo ha chiesto una mobilitazione generale della popolazione, al di là di ogni differenza di tipo politico, ideologico, religioso e tribale:
«Ampi territori del Nord Kivu sono stati aggrediti e occupati dal gruppo terroristico conosciuto come Movimento del 23 marzo (M23), manifestamente appoggiato militarmente e logisticamente dal Ruanda, il che ha costretto oltre 200.000 connazionali ad abbandonare le zone di combattimento, provocando così un’immane tragedia umanitaria. Questa situazione non è nuova. In effetti, da diversi decenni, gruppi armati nazionali e stranieri hanno preso in ostaggio l’est del nostro paese, commettendovi atrocità indicibili che permettono loro di sfruttare illegalmente le nostre risorse naturali.
Infatti, accusando ingiustamente l’esercito congolese di appoggiare le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), il regime ruandese tenta, in realtà, di camuffare le sue mire espansionistiche verso l’est del nostro Paese, avendo come principale obiettivo quello di appropriarsi dei nostri minerali. Per farlo, il regime ruandese ha optato per la destabilizzazione dell’Est della RDCongo, creandovi una zona di illegalità, al fine di soddisfare suoi appetiti criminali.
In questo momento, al di là di ogni differenza politica, ideologica, religiosa e tribale, la difesa della Patria è l’unico obiettivo che deve unirci. Il Paese ci chiama, la Nazione ha bisogno dell’impegno di tutte le sue figlie e di tutti i suoi figli.