(Articolo pubblicato in "Vita Nuova", Settimanale della Diocesi di Parma)
La pelle giusta
L'antropologa Paola Tabet ha condotto una indagine con 7000 bambini nati tra il 1985 e il 1991 (che all’epoca avevano tra i sette e i 13 anni e frequentavano le elementari e le medie) sul tema "Se i miei genitori fossero neri...". Ne à nato un libro con il titolo "La pelle giusta" pubblicato da Einaudi nel 1997.
Ecco alcune risposte:
- "lo, se i miei genitori fossero neri, avrei paura per sempre".
- "Se i miei genitori fossero neri non mi piacerebbero perché sono davvero brutti. Li farei ritornare come sono ora. Li potrei portare dal veterinario...". (prima elementare)
- "Forse invece di essere neri è meglio essere dinosauri" (sei anni)
- "Li troverei disgustosi e preferirei genitori allo stato moderno e non primitivo";
- "Quando mi davano da bere, da mangiare il pane, io mi spaventavo perché mi pareva che ci mettevano la droga";
- "Forse sarebbero poveri, quindi assassini, delinquenti, ladri e malfattori e li disprezzerei..."
- "Se fossero neri li terrei come schiavi" (otto anni);
- "Se io chiedessi qualcosa da bere a mia madre e lei lo porta con qualche parte del suo corpo lo toccasse, io non lo berrei perché se uno è negro non posso distinguere se è sporco o no";
- "Me ne starei sempre in un angolo e piangerei;
- “Non capirei cosa dicono e puzzerei perché i miei genitori non mi farebbero lavare".
- "I negri rubano per vivere, certi negri invece per guadagnare soldi vendono anche la droga; infatti i negri che vogliono venire in Italia lo stato non li vogliono...
- “I negri ammazzano la gente"
- "Non avrei più gli astucci di valore e anche le penne, i pennarelli, le matite, il righello, la cartella" (III elementare);
- "Non abbiamo vestiti per coprirci dal freddo non avremmo il letto per dormire. Siamo magri con le ossa di fuori..." (III elementare).
- "Fossi nero mi ammazzerei" (sei anni ).
- "Se io avessi questo papà nero mi butterei dal terzo piano, perché è meglio che mi butto che rovinarmi il mio nome".
- "Si fa la plastica e io torno da loro" (IV elementare).
- "Se i miei fossero neri li butterei fuori da casa a calci nel culo perché sono neri" (seconda elementare).
- "Se li uccidessi come mangerei?" (otto anni)
- "Le persone nere sono soprattutto dei zingari o dei poveri" (V elementare);
- "Da parecchi giorni in Italia sono arrivati gli Albanesi. Queste persone sono povere e non hanno niente da mangiare e non hanno un posto dove dormire. La gente è egoista perché maltrattano queste persone dal colore diverso dal nostro ".
- "Quando i miei guardano alla Tv il telegiornale, non li vorrebbero i negri quando vengono a vendere i fazzoletti, i tappeti, gli stracci e a chiedere l'elemosina. Io penso che bisognerebbe essere più buoni, più attenti a questi problemi: quella povera gente fa pena!" (Otto anni).
- "Io ho paura dei neri perché uccidono i bambini e fanno del male. Io i miei genitori li voglio bianchi. Mio papà mi ha sempre detto che gli uomini sono tutti uguali sia che sono bianchi sia che sono neri però la televisione mi fa capire che i neri uccidono e io mi spavento ancora di più" (IV elementare).
Non abbiamo a disposizione la reazione dei genitori, ma il risultato della indagine non depone a loro favore.
Dove sono andati a pescare sentimenti così meschini bambini tanto piccoli? È risaputo che razzisti non si nasce, lo si diventa.
- Come deve sentirsi un genitore sapendo che il suo rampollo, a causa del colore della pelle, prova schifo per i suoi genitori, li ritiene capaci di mettere la droga nel cibo di figli, li ritiene degni di disprezzo, addirittura assassini, delinquenti, ladri e malfattori perché poveri, da tenere come schiavi, da portare dal veterinario, peggio dei dinosauri.
- Non deve essere felice un papà o una mamma sapendo che il figlio lo accetta solo perché gli fornisce cibo, gli compra astucci di valore, penne, pennarelli, matite, righello, cartella e gli assicura vestiti per il freddo, letto per dormire...
- Con che orgoglio i genitori guarderanno i figli disposti buttarli fuori di casa a calci, dipendendo dall’intensità del colore della pelle…
30 anni dopo
L’indagine fu fatta circa 30 anni fa. I bambini / ragazzi di allora oggi sono elettori, sono genitori, funzionari pubblici, formatori di opinione, membri della classe dirigente… Possiamo meravigliarci se i migranti sono malvisti tra di noi?
E non si pensi che, con il passare degli anni, questi terribili razzisti si ravvedano. Già lo diceva Albert Einstein: “È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”. Persone fini, educate, oneste e squisite davanti al problema del razzismo rivelano un disprezzo che disdice con la loro “educazione”: i negri sono schifosi, i "terroni" sono «tutti bassi e brutti, neri come la peste, bugiardi e pigroni».
Il razzismo benpensante delle sorelle C di Karim Metref
Ho in mano l’eccellente antologia “Migrantemente, il popolo invisibile prende la parola”, EMI, Bologna, 2005 pp. 121-124 curata da Sabbatino Annecchiarico.
Non resisto alla tentazione di copiare la parte centrale del capitolo intitolato: “Il razzismo benpensante delle sorelle C” - di Karim Metref. È rivelatore.
Vado a visitare le signore C, due sorelle. L'incontro è rilassato, mi trovo di fronte persone molto corrette, oneste e sincere. Mi prendono subito in simpatia. Ma a poco a poco scopro che in queste due squisite persone si nasconde un razzismo sereno e ben radicato. Il razzismo delle signore C è un razzismo benpensante, farcito dei valori cristiani di carità e misericordia. Non vogliono male a nessuna "creatura", però certo qualcuna «fa proprio schifo».
Io non sembro essere coinvolto quando parlano male degli immigrati «che rubano, che non fanno niente».
Quando dico che anch'io sono immigrato, rispondono che sono diverso, sono l'eccezione: «non si vede neanche, sei di buona famiglia». L'immigrato nell'immaginario delle sorelle C., quasi rinchiuse in casa tutto il giorno alla mercé dei mezzi d'informazione che raccontano di gente per bene malmenata dagli extracomunitari, sembra una cosa fantastica, un essere malevolo uscito dai racconti di cavalieri e draghi. Niente a che fare con i pochi che hanno avuto occasione di incontrare. Quelli, a loro parere, sono gente per bene.
Le sorelle C. avevano un fratello missionario che raccontava dei selvaggi «di buon cuore» dell'Africa e dell'America. Sono favorevoli ad aiutare le creature di questi Paesi lontani, perché sono tutti figli di Dio «ma questi negroni, sempre più numerosi nelle nostre strade sono proprio schifosi!».
Neanche i "terroni" sono graditi: «tutti bassi e brutti, neri come la peste, bugiardi e pigroni». Ma hanno «buon cuore» anche loro. «La moglie di mio nipote, quello che fa l'ingegnere alla Fiat è terrona, ma lei è diversa: è una che lavora tanto (oggi è diventata responsabile di servizio, comanda anche gli uomini), tiene bene la casa e ha allevato benissimo i suoi due figli. Lei è un caso particolare, non è come gli altri terroni».
A me vogliono bene le sorelle C., anzi mi hanno adottato subito, quasi come un parente. Mi fanno raccontare tutto quello che faccio. Sono entusiaste quando parlo della trasmissione radiofonica che conduco su una stazione locale: «Vogliamo ascoltarla, a che ora è? Su quale frequenza? Ci si può sintonizzare? Però c’è un problema. Come faremo poi a ritrovare la nostra trasmissione notturna preferita su Radio Padania?». Non riesco a trattenermi: «Come? Radio Padania? Che schifo!». Allora la meno vecchia dice: «Perché schifo? È così bella quella radio. Lo so che ce l'hanno un po' con voi immigrati» Io replico: «Un po' dice lei?». E lei pronta: «È vero ogni tanto esagerano. Ma anche voi esagerate. Ne avete di quelli che non scherzano... tutte quelle cose che succedono a Porta Palazzo... mamma mia!». Vorrei tanto chiedere «in che cosa esageriamo?» e cosa avevano da rimproverare, a me, ai tanti amici che ho tra gli immigrati, alla donna che viene tutte le settimane a pulire le scale di casa loro, alla mia amica che abitava prima di me nella loro casa? E cosa succede esattamente a Porta Palazzo, che io non vedo quando vado a farci la spesa, o la sera per bere un bicchiere? Non l'ho chiesto. Avrebbero risposto che ci volevano bene, che eravamo l'eccezione che conferma la regola.
Ma quante persone conformi alla regola conoscono le due sorelle? Quale prova hanno del fatto che "noi" esageriamo?
Allora non oso più rispondere alle mie ospiti con un "voi", mi viene in mente solo un "loro" che racchiude tutti quelli che, nascosti dietro un microfono, una videocamera o un computer, versano fiumi di menzogne e di odio su di "noi", quelli che alimentano la paura dello straniero, che cercano le cause dei malesseri negli altri, mai in loro stessi. Sono "loro" che hanno mantenuto sempre le sorelle C nel loro stato di chiusura mentale. Sono "loro" che hanno sempre cercato qualcun altro da accusare. Prima è toccato ai meridionali poi agli immigrati; adesso le cose si complicano: gli immigrati non sono più quella massa compatta che era. Ci sono varie tipologie di minacce: i musulmani, sembra, per primi, «quelli fanno i kamikaze! Sei in via Roma a fare la spesa e si fanno saltare in mezzo alla folla! Sono pazzi, capisce?».
Mi stanco di questa discussione, prendo le foto della mia famiglia, scattate quest'estate in Algeria, per fargliele vedere. Si calmano per un po' e guardano le foto. «Mamma mia come sono belli questi bambini! E come sembrano intelligenti! Questo sembra furbetto. E questa già una bella signorina, che sa di essere bella! Si vede! Ne farà soffrire di uomini...». Poi, dopo un po': «Bisogna dire che sono molto belli i suoi nipoti, sono anche molto chiari di carnagione! Non sembrano neanche extracomunitari!».
Eh... Grazie tante, signore, per il "bunet" e per la conversazione. Chiedo il permesso di ritirarmi. Ho avuto il mio conto per stasera.
Nella storia delle sorelle C., impressiona un fatto:
- Le persone conosciute “sono differenti”
- I pochi che hanno avuto occasione di incontrare, quelli, a loro parere, sono gente per bene.
- Non sembrano neanche extracomunitari!
- Le persone (migranti o terroni) conosciute sono “caso particolare”.
- Le sorelle C. vivono rinchiuse in casa tutto il giorno alla mercé dei mezzi d'informazione.
Nel loro piccolo, le sorelle C. mostrano il potere dei mezzi di comunicazione, i preconcetti che essi creano.
La manipolazione razzista dell’opinione pubblica rende buoni dividendi in mezzo ad un popolo sacrificato da una crisi economica che non è certamente da attribuirsi al fenomeno migratorio. Le elezioni del quattro marzo hanno premiato senza possibilità di dubbio, il discorso razzista più ottuso.
Dopo anni di attacchi mediatici, è vicino all’80 per cento il numero dei neoeletti, presenti nelle due camere del parlamento italiano, che metteranno al primo posto delle loro scelte il tema del respingimento e dell’espulsione dei migranti, che continuano a definire “irregolari”, quando non ricorrono al termine, fin troppo abusato, di “clandestini”.
Su un aereo...
-Qual è il problema, signora? -Chiede la hostess.
- Non lo vede? - risponde la passeggera. - Sono stata messa accanto a un indio. Non sopporto sedere accanto di uno di questi esseri ripugnanti. Non ha un altro posto?
- Per favore, si calmi... - dice la hostess - Quasi tutti i sedili sono occupati. Vado a vedere se c'è un posto disponibile.
La hostess si allontana e ritorna dopo qualche minuto:
- Signora, come pensavo, non c'è più nessun posto libero nella classe economica. Ho parlato con il comandante e mi ha confermato che non ci sono più posti disponibili nella classe economica. Tuttavia, abbiamo ancora un posto in prima classe.
Prima che la signora possa fare il minimo commento, la hostess prosegue:
- È abbastanza insolito permettere a una persona della classe economica sedersi in prima classe. Ma, in considerazione delle circostanze, il comandante ritiene che sarebbe scandaloso costringere un passeggero a sedersi accanto ad una persona così ripugnante.
E, rivolgendosi all’indio, la hostess dice:
- Se lei desidera, prenda il suo bagaglio a mano. C’è un posto in prima classe che l’aspetta.
Tutti i passeggeri che avevano assistito al dialogo si alzarono e applaudirono con entusiasmo...
Articolo pubblicato in "Vita Nuova", Settimanale della Diocesi di Parma.
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