Congo RD, Nord Kivu: Popolo ostaggio d'una guerra a sfondo economico
1. INTRODUZIONE
Il Movimento del 23 marzo (M23) sta scatenando il caos nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, ma i suoi veri obiettivi restano ancora oscuri. Dalla fine del 2021, l’M23 ha occupato vaste aree della provincia del Nord Kivu, provocando lo spostamento forzato di centinaia di migliaia di persone.
«Vogliamo un dialogo diretto con il governo, per risolvere le cause profonde del conflitto», continua a dichiarare Lawrence Kanyuka, portavoce politico dell’M23. Ma non precisa le richieste avanzate: «Non possiamo mettere il carro davanti ai buoi». Movimento a maggioranza tutsi, già sconfitto nel 2013, l’M23 ha ripreso le armi nel mese di novembre 2021, accusando Kinshasa di non aver rispettato gli impegni sul disarmo e il reinserimento dei suoi combattenti.
La Repubblica Democratica del Congo (RDC) accusa il Ruanda, paese limitrofo, di appoggiare (con armi, munizioni e truppe) questo gruppo armato. «L’M23 non è che una pedina del Ruanda», afferma il generale Sylvain Ekenge, portavoce delle Forze Armate della RDC (FARDC). Secondo lui, «per il Ruanda, è una questione di sopravvivenza economica». Infatti, l’est della RDC è ricco di minerali, tra cui l’oro, il coltan e lo stagno, mentre il Ruanda è un piccolo paese con poche risorse naturali. Secondo il generale Ekenge, questo dato di fatto potrebbe aver contribuito a innescare la crisi.
Nonostante gli sforzi internazionali intrapresi per disinnescare la crisi, l’M23 continua ad avanzare, minacciando di accerchiare la città di Goma, capoluogo di provincia del Nord Kivu.
Ciò che ha scatenato il conflitto non è chiaro, ma gli esperti ricordano le ricorrenti tensioni regionali come cause sottostanti. Nel mese di novembre 2021,in collaborazione con l’esercito congolese, l’Uganda aveva iniziato un’operazione militare nell’est congolese, per combattere le Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo armato di origine ugandese. Kampala si era inoltre impegnata a migliorare alcune infrastrutture stradali del Nord Kivu offrendo, in tal modo, una potenziale alternativa alle rotte commerciali ruandesi. È a questo punto che il presidente ruandese Paul Kagame avrebbe detto: “quelle strade non dovranno dirottare il traffico commerciale congolese verso l’Uganda”.
Anche Onesphore Sematumba, esperto della RDC per l’International Crisis Group (ICG), ritiene che la ripresa delle ostilità da parte dell’M23 abbia le sue radici negli interessi economici del Ruanda, anche se attualmente la situazione si è un po’ evoluta. A causa della debole reazione militare congolese, l’M3 potrebbe ora pianificare qualcosa che vada oltre quanto inizialmente immaginato. «Man mano che avanza senza incontrare un’effettiva opposizione militare e politica, l’M23 cercherà di spostare i paletti, secondo le situazioni del momento”, ha affermato Sematumba, secondo cui l’M23 si starebbe muovendo secondo una nuova “logica opportunistica”.
2. LE DICHIARAZIONI DEI VESCOVI CATTOLICI E DELLA SOCIETÀ CIVILE DEL NORD E SUD KIVU
Il 28 gennaio, in un messaggio rivolto ai cristiani cattolici e agli uomini di buona volontà, i Vescovi dell’Assemblea Episcopale Provinciale di Bukavu (ASSEPB) hanno presentato la situazione di insicurezza in cui si trovano le loro diocesi: nella diocesi di Goma, 8 parrocchie su 33 sono occupate dalle truppe dell’M23; nella diocesi di Butembo-Beni, l’intera zona di Semliki è occupata dalle ADF, di origine ugandese; tutti gli altopiani della diocesi di Uvira sono occupati da milizie reclutate sulla base di criteri etnici; nella diocesi di Kasongo, 4 parrocchie su 19 sono occupate da gruppi armati Mai-Mai.
Di fronte a questa situazione, la popolazione si dice totalmente delusa, perché lo Stato non è ancora riuscito a porre fine alle violenze dei gruppi armati, a causa dell’inefficienza dell’esercito, della polizia e del programma di disarmo, smobilitazione e reinserimento (DDR).
Inoltre, la Comunità dell’Africa dell’Est (EAC), ha deciso di inviare nel Nord Kivu delle truppe del Kenya, dell’Uganda, del Burundi e persino del Sud Sudan. Pertanto, oggi, il Nord Kivu si trova sottomesso a una specie di regime di tutela da parte di questi eserciti stranieri. Non è questo il compimento effettivo della balcanizzazione della RDC?
Inoltre, dal punto di vista economico, la popolazione si trova ovunque schiacciata dalla miseria. In un Paese potenzialmente ricchissimo e presentato all’estero come “paese soluzione”, le strade sono rovinate e, in molti casi, impraticabili, il che espone le comunità locali ai pericoli dell’isolamento, della miseria e dell’insicurezza. Questa situazione è aggravata dall’imposizione di tasse esorbitanti che scoraggiano gli imprenditori e bloccano l’economia locale, ostacolando così il commercio interno e la crescita nazionale.
Infine, a causa di una corruzione dilagante, le nostre popolazioni sono vittime di una giustizia che raramente viene resa in modo equo. Nelle zone periferiche, la tendenza è quindi quella di ricorrere alla giustizia “popolare”, come il linciaggio e la creazione di gruppi armati come mezzo ultimo per farsi giustizia da soli.
L’8 febbraio, in una nota indirizzata al Presidente della Repubblica, i Vescovi membri del Comitato Permanente della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO) si sono detti preoccupati per la situazione di insicurezza che prevale nell’est della RD Congo. Questa situazione di insicurezza continua a peggiorare con enormi conseguenze: massacri, spostamenti di popolazioni e violazione dei diritti umani.
Di fronte a questa crisi sono state intraprese diverse iniziative militari e diplomatiche: l’instaurazione della legge marziale nelle due province del Nord Kivu e dell’Ituri, l’intensificazione delle operazioni militari (FARDC, MONUSCO, forza militare regionale della Comunità dell’Africa dell’Est [EAC], quest’ultima composta da truppe provenienti da Kenya, Uganda e Burundi e da ufficiali provenienti dal Ruanda), ma la pace è ancora lontana.
Inoltre, la presenza nell’est del nostro Paese di truppe e ufficiali provenienti da paesi citati come aggressori della Repubblica Democratica del Congo solleva molti dubbi e interrogativi.
Abbiamo l’impressione che la popolazione congolese sia intrappolata tra una guerra di influenza e una battaglia per il controllo delle sue risorse naturali.
Questi drammatici eventi non contribuiscono forse all’attuazione del piano di balcanizzazione del nostro Paese?
Da parte sua, la Chiesa cattolica è sempre pronta ad accompagnare le diverse iniziative di pace.