Bangladesh: alle radici dell'estremismo islamista /Fides
“Qui in Bangladesh, i fattori che guidano il reclutamento e la mobilitazione jihadista sono molteplici. I processi di radicalizzazione islamista hanno radici storiche di cui bisogna tener conto e che eccedono il nesso povertà-estremismo”.
Shahab Enam Khan, docente di relazioni internazionali all'università Jahangimagar di Dacca e membro dell'Enterprise Institute, ha studiato a lungo i movimenti radicali islamisti.
In una recente intervista con Fides nel suo ufficio nel quartiere Gulshan della capitale bangladese, ricorda che per comprendere la crescita del salafismo-jihadista e le sfide future occorre rivolgere lo sguardo indietro: al periodo immediatamente successivo all’indipendenza del Paese, ottenuta nel 1971 dopo una sanguinosa guerra per liberarsi dal controllo del Pakistan.
Le condizioni per l’affermazione del radicalismo di matrice islamista, nota Shahan Enam Khan, dipendono dalla polarizzazione politica creata negli anni successivi all’indipendenza. Quando partiti e movimenti politici si sono combattuti in nome di principi e ideologie diverse, mentre è diventata sempre più evidente l’incapacità istituzionale di garantire una governance efficiente.
Da qui, un vuoto politico, colmato da nuovi movimenti islamisti radicali, le cui strategie di reclutamento si sono concentrate proprio sulla critica all’establishment, sulla sua incapacità di garantire servizi e diritti alla maggioranza della popolazione. La corruzione della macchina amministrativa e statuale, insieme a quella che investe il settore della giustizia, ha fornito altri elementi per la propaganda.
Negli anni più recenti, si è aggiunto un altro fattore: la contraddizione tra la crescita economica del Paese, di cui beneficia solo un'élite urbana e colta, e la mancata inclusione della maggioranza della popolazione, soprattutto quella rurale. Secondo le recenti stime dell’Asian Development Bank, infatti, il Pil del Bangladesh nel 2017 è cresciuto di più del 7%, e le stime per il 2018 si attestano sullo stesso livello.
Ma la crescita non è inclusiva, e la povertà rimane diffusa, si legge nei rapporti del Bangladesh Bureau of Statistics e della Banca mondiale: il 30% circa della popolazione vive sotto la soglia di povertà nazionale, il 17% (circa 25 milioni) soffre povertà estrema; il tasso di disoccupazione è intorno al 4%; ogni anno su circa 2 milioni e 700.000 nuovi giovani che ambiscono a entrare nel mondo del lavoro, soltanto un quarto ci riesce; il salario medio mensile è fermo a circa 5.500 taka (60 euro), un terzo di quello che servirebbe per vivere dignitosamente.
Intorno a questi fattori, i gruppi afferenti alla variegata galassia radicale locale hanno organizzato una battaglia retorica.
Passa per canali di distribuzione diversi, dai pamphlet stampati clandestinamente e distribuiti nelle aree rurali e nelle periferie delle città al passaparola, per finire con i social media, sempre più accessibili ed economici. Proprio su questi ultimi canali di comunicazione si è innestata, in particolare a partire dall’istituzione del cosiddetto Stato islamico nell’estate del 2014, la retorica jihadista globale. Quella del gruppo guidato dal sedicente Califfo Abu Bakr al-Baghdadi e quella, più datata, di al-Qaeda. Sia l'attuale numero uno di al-Qaeda, l'egiziano Ayman al-Zawahiri sia il suo rivale al-Baghdadi guardano con particolare interesse al subcontinente indiano, un bacino di reclutamento potenziale enorme.
Con i suoi 172 milioni di musulmani e una conflittualità intermittente ma costante tra le varie comunità religiose, l'India è il boccone più ambito. Il Bangladesh, Paese con la quarta popolazione musulmana al mondo e con un governo laico e nazionalista guidato da Sheikh Hasina dell’Awami League e malvisto dagli islamisti, segue subito dopo. Non a caso, nel settembre 2014 al-Zawahiri ha annunciato la creazione di al-Qaeda nel sub-continente indiano (Aqis).
Al contrario del leader dello Stato islamico, che si è affacciato nell'area del sud-est asiatico solo di recente, qui le radici di al-Qaeda sono solide, si basano su alleanze, contatti, conoscenze consolidate nel corso di decenni, a partire già dagli anni Novanta, ai tempi della resistenza dei mujahedin afghani contro l'occupazione sovietica. A quel jihad parteciparono circa 3.400 bangladesi. Parte di loro ha formato nel 1992 il gruppo Harkat-ul-Jihad-al-Islami Bangladesh (branca locale dell'omonimo gruppo pachistano), che nel 2005 ha inaugurato un'ambiziosa agenda di presa del potere in dieci anni, repressa dagli apparti di sicurezza.
Dalla fine degli anni Novanta e all'inizio del decennio successivo, spiega a Fides il professor Shahab Enam Khan, hanno dominato la scena altri due gruppi: Jamaitul Mujahedin Bangladesh e Jagrata Muslim Janata Bangladesh, responsabili nell'estate del 2005 di circa 500 esplosioni in tutto il Paese. Gruppi che si affidano a una rete di militanti attiva nelle aree rurali e nelle periferie metropolitane, composta perlopiù da giovani senza istruzione, poveri, emarginati, esclusi dal mercato del lavoro, privi di occasioni di riscatto sociale, pieni di risentimento.
Ma la povertà diffusa e la scarsa istruzione non bastano a spiegare la crescita del fondamentalismo islamista. Anche qui in Bangladesh, come altrove, nella mobilitazione jihadista contano altri fattori, come ha spiegato il sociologo Diego Gambetta nel libro Ingegneri della jihad. Il sorprendente legame tra istruzione ed estremismo.
E come dimostrano le biografie di alcuni jihadisti bangladesi. Il leader di Jagrata Muslim Janata Bangladesh, Bangla Bahi (conosciuto anche come Siddiqul Islam e Aziz Ur-Rahman, giustiziato nel 2007), era laureato in letteratura bengalese. Quattro dei cinque jihadisti responsabili dell'attacco del luglio 2016 alla Holey Artisan Bakery di Dacca rivendicato dallo Stato islamico provenivano da famiglie agiate, privilegiate, vantavano solidi studi alle spalle, godevano di garanzie sul futuro.
Dietro l'affermazione del radicalismo islamista c'è un'altra battaglia, di più ampia portata. E' di ordine sociale e ideologico.
Riguarda la definizione di quale sia l’identità bangladese, quale ruolo debba avere l’Islam – e quale forma di Islam – dentro una transizione sociale e culturale che ha condotto nel ventunesimo secolo un Paese diviso tra una maggioranza ancorata alle coordinate culturali e sociali del mondo rurale e una minoranza che detiene il potere ed è influenzata da modelli alternativi, esogeni. I gruppi jihadisti sono anche una risposta a questa transizione. Sfruttano le nuove fratture sociali e identitarie.
Fratture che rientrano in quella più profonda che contrassegna il Bangladesh dalla sua fondazione: quella tra quanti pensano a un Paese secolare e liberale, come recita la prima Costituzione del 1973, e quanti invece aspirano a una nazione fondata sull'Islam come religione di Stato, come recita l'emendamento costituzionale del 1988.
Più che alla povertà, è in questi smottamenti culturali – male gestiti e spesso alimentati dalla politica istituzionale – che vanno rintracciate le matrici del radicalismo islamista.
- Di: Giuliano Battiston.
- Fonte: http://omnisterra.fides.org - 2 dic. 2017