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Fra Benedetto della famiglia dei Da Marone

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Assai conosciuto in ambito bresciano è Pietro da Marone per gli affreschi e  le innumerevoli tele ad olio presenti nelle chiese della città e della provincia. Definito da Ottavio Rossi : "polito e leggiadro pittore de nostri tempi, c'ebbe il padre e uno zio frate gesuato ambedue pittori anch'essi", egli è chiaramente il nipote di fra' Benedetto e non lo zio, come si trova frequentemente ripetuto in tanti autori antichi e recenti.

La famiglia "da Marone" ha dato artisti di notevole pregio che conosciamo a partire dai tre fratelli:

· Raffaele, diventato frate olivetano nel convento di Rodengo dove eccelse nell'arte dell'intarsio. Ci lascia il preziosissimo leggio del coro dei frati, attualmente in Pinacoteca. Altri lavori sono a Monte Oliveto Maggiore, citati con plauso dallo stesso Vasari.

· Andrea, amico del Poliziano e del Ficino, fu alla corte di papa Leone X e di Clemente VII, lodato come "incredibile fenomeno" per la vena poetica e il dono dell'improvvisazione.

· Pietro "marengonus" e intagliatore, meno abile del fratello Raffaele, padre di due figli, Paolo e Andrea detto da Manerbio . Quest' ultimo iniziò la pittura come garzone nella bottega degli Zambelli insieme al fratello Paolo ed è il padre del più famoso pittore Pietro  da Marone (1548-1625) all'origine della confusione suddetta.

frabenedetto

Il figlio del primo Pietro, Paolo, nel 1550 cambia il nome in fra' Benedetto, entrando a far parte della comunità religiosa dei Gesuati nel convento  di S.Girolamo a Porta Vercellina in Milano. Da questo momento il suo stile artistico si allontana dagli insegnamenti della bottega degli Zambelli dove è stato apprendista col fratello Andrea, per orientarsi verso la maniera di Gaudenzio Ferrari, Callisto Piazza e Bernardino Luini.
 1556 lascia Milano (secondo il Dufner) per il convento di S. Bartolomeo in Monte a Verona. Il 30 giugno dello stesso anno è a Brescia come testimone del testamento di Agostino Emili in San Cristo.
· 1560 risulta abbia terminato il ciclo pittorico del beato Colombini nei chiostri dei Gesuati a Bologna.
· 1562 viene segnalato in San Cristo per un atto di procura. Probabilmente si dà mano al progetto per il rinnovo della volta della chiesa avvalendosi della perizia del Todeschini operante nella vicina nuova facciata di S. Giulia. 
· Il 20.12.1562, 13.4.1563; 21.6.1563; 7.2.1564; 29.7.1566 ; 6.8.1568 è presente in Brescia, dove secondo il Dufner completa gli affreschi nel 1565.

28 luglio 1565 appare come teste al testamento di Alberghino de Alberghinis.
   Nel 1571 è a Ferrara per un ciclo in dodici episodi sulla vita del beato Tavelli da Tossignano. 
· Nel 1575 è chiamato a Siena per affrescare la chiesa di S. Girolamo dei Gesuati dove sono rimasti solo dei lacerti.

Il 27.2.1579 riappare in Brescia, come pure il 29.7.1582 per atti notarili, mentre non figura presente al matrimonio del nipote pittore Pietro con Olimpia Barbisoni il 2.2.1575.

Da una lettera del fondo Nunziatura Veneta dell'Archivio Segreto Vaticano, purtroppo senza data, risulta come lo zio frate e il nipote Pietro fossero presenti ancora insieme a Venezia per l'opera pittorica del convento dei Gesuati: "Noi vi mandemo uno scrito nel quale maestro Benedito confesa aver receudo da maestro Piero Maron liri sesantauna et soldi tre L.61:3, el quale scrito mi pare abi scrito uno Antonio da Rovigo con volontà de M.Piero et de Benedecto…".

Ulteriori notizie con dati d' archivio sono nel capitolo: Un autoritratto di fra' Benedetto.

Espressione del manierismo dell'epoca, da inizi vicini al Romanino accoglie elementi dai fratelli Campi di Cremona e dell'ambito milanese. All' assenza di spunti originali dovuti allo stile maturato in un contesto di eclettismo, alcune volte riesce ad essere suggestivo, come nelle figure svolazzanti della volta, che sembrano uscire dagli schemi dei festoni floreali. Nel catino del presbitero sa esprimere devozione nel descrivere il Mistero della croce, per poi esplodere sulla crociera in una ricca e fitta decorazione che avvolge le scene dell' Antico Testamento a tema eucaristico. Nell' impiego della prospettiva non riesce convincente e scade sovente nella resa dei particolari anatomici, per cui i personaggi figurano rigidi e sforzati dentro scorci di scenari di non grandiosa spettacolarità. Egli apprezza  soprattutto il cromatismo veneto, determinante per il successo della sua opera, perchè gli permette di esprimere alcuni elementi personali che commuovono e affascinano. La concezione dell'insieme e il risultato finale sono di grande effetto e riescono a suscitare quella ammirazione e devozione all' Eucarestia che l'artista si era proposto.

Senza dubbio a conoscenza degli affreschi della Cappella Sistina e di quelli di Luca Signorelli nel duomo di Orvieto, fra' Benedetto riprende il primitivo progetto di Michelangelo (che poi opta per Profeti e Sibille), ponendo dodici apostoli tra i costoloni del contro soffitto, da lui stesso predisposto. Vicino all'arco trionfale inserisce il tema del Giudizio Universale con la figura di Cristo Giudice sulle nubi col braccio alzato posto tra la Vergine e Giovanni Battista. Sull' arco trionfale dispone a sinistra di chi guarda, i benedetti che escono da terra tirati su da angioletti, e nell'altra parte i maledetti spinti in basso da demoni-caproni armati di tridenti. Al vertice dell'arco sono la croce e la colonna rette da figure spirituali, vicino all'angelo sterminatore e a quelli che suonano le trombe del giudizio dalla tipica  forma arcuata.

    Tutte le figure apostoliche che coprono il soffitto sono accompagnate da un angelo recante il Libro della Parola di Dio, che ogni apostolo è chiamato ad annunziare secondo il mandato ricevuto : "Andate e predicate…". La figura angelica si pone alternativamente in basso e in alto nelle losanghe in linea sinusoidale per evidenti motivi di euritmia e di estetica.

Inziando dall'arco trionfale riconosciamo a destra l'apostolo Pietro con la croce rovesciata e  le chiavi rette da due angeli, segue Giacomo il minore, cugino del Signore e vescovo di Gerusalemme: fu battuto dal battilana, precipitato dal Tempio e decapitato con spada, Tommaso detto Didimo l' incredulo è rappresentato con la squadra essendo fondatore e costruttore di chiese in India, ucciso da una lancia, Filippo morto come Pietro sulla croce a testa in giù in terra di Scizia, ma anche con la pietra della lapidazione, Matteo reca il libro del Vangelo, penna e calamaio con la borsa dei denari delle imposte, Simone lo zelota è martire a sua volta segato alla maniera di Isaia.

Alla sinistra di fronte a Pietro c' è il fratello Andrea, legato sulla croce a bracci uguali, detta per l'appunto di S. Andrea o croce greca. Segue Giovanni con il calice avvelenato dall' aspide offertogli dal sacerdote di Efeso.Giacomo il maggiore fratello del precedente porta sul cappello la conchiglia, allusione al Santuario di Campostella vicino all'Atlantico e il bastone giacobita. Bartolomeo figura con il coltello della scorticatura avvenuta in Armenia, Giuda Taddeo con l'alabarda e la mazza (erroneamente indicato come Simone), infine Mattia scelto per sostituire Giuda è con la scure del martirio subito in Palestina.

Gli archi delle pareti raccontano le vite dei santi martiri secondo il testo della popolare Legenda Aurea del vescovo domenicano Jacopo da Varagine (Varazze in provincia di Savona) un prontuario ad uso dei predicatori del Trecento. Una caratteristica li accomuna, il fatto cioè di essere tutti dei laici, nessun sacerdote, con predominanza dell' elemento femminile.

Sulla parete di sinistra a partire dall'organo c' è il martirio di san Vincenzo diacono di Tarragona (+ 304 a Valencia), sottoposto alla tortura del pettine e del sale, rigettato sulla spiaggia dai flutti del mare e costudito da un corvo in attesa di sepoltura. Segue quello di S. Barbara prigioniera in un raffaellesco notturno, viene privata dei seni, ma un angelo compare a coprire la nudità, infine muore decapitata. Al centro della parete - sopra il  monumento Martinengo - è rappresentato il gruppo di S. Gerolamo con S. Francesco, Maria Maddalena, S. Antonio abate e S. Paolo eremita in estatica visone di Cristo sulle nubi. Chiude la serie il martirio di S. Margherita di Antiochia di Pisidia con devota committente: incuriosisce la scena della prigionia con il drago-coccodrillo, il demonio che l' ha ingoiata rigettandola dopo tre giorni come Giona. Per questo motivo veniva invocata dalle partorienti. L'affresco successivo, eseguito a secco, rappresenta l'estasi di S. Francesco: aggiunto al tempo dei Minori Riformati è opera settecentesca di Pompeo Ghitti.

Più sotto a coronamento di una porta  è un affresco dello stesso Marone che rappresenta una Madonna in trono attorniata da S. Paolo eremita, la Maddalena e S. Maria Egiziaca, tre eremiti dal passato turbolento il cui esempio è all'origine della conversione del Colombini e della moglie.

Sotto gli archi dei martiri corre un fregio con putti, frutta, verdura e animali tra festoni di fiori alla maniera del Mantegna. Esso si pone come cesura, uno stacco dalla sottostante decorazione delle prospettiche vedute trompe l'oeil intercalate da fastose colonne dai barocchi mensoloni. Di particolare bellezza è la prima panoramica, quella vicino alla porta, con una visuale sul giardino attraverso lo scorcio di una porta socchiusa e le sbarre di una cancellata. Nella zona mediana della parete si possono notare i monocromi finementi disegnati di Abramo con Isacco e Tobia con l' arcangelo Raffaele, posti come contesto al mausoleo Martinengo, ora in S.Giulia.

La Via Crucis si pone tra i mensoloni delle colonne in scene abbinate fino al numero di sei, l'ultima scena è la Resurrezione. Sono quadri di buona fattura, ben disegnati, e avevano inizio dalla parete di destra dove sono ora le tre cappelle.

Aperte nel 1600 dal Bagnadore queste tre aperture non toccano gli affreschi degli archi superiori dai quali sono separati da un finto cornicione marmoreo interposto come a voler ricucire lo strappo. Sono stati restaurati nel 2001 e presentano quattro scene di martirio.

S. Caterina d'Alessandria, la santa filosofo-sapiente in diatriba con gli esponenti della scuola alessandrina, occupa il primo arco accanto alla cantoria: in alto è flagellata alla colonna, al centro è il caratteristico martirio delle quattro ruote dentate tutte infrante, infine è la morte per spada. L' affresco presenta purtroppo una grossa caduta di intonaco proprio nel bel mezzo.

Segue un affresco a secco di Pompeo Ghitti con il noto episodio della vita di S. Antonio da Padova del mercante ebreo con mula che si converte vedendo la sua bestia prostrarsi in adorazione davanti alla Eucaristia, dopo aver disdegnato un mucchio di fieno: il recupero di questo affresco ridotto a una larva è stato assai laborioso con un risultato di tutto rispetto.

Il terzo arco, posto sopra la cappella di centro, raffigura il martirio di S. Lucia con l' episodio della santa trascinata da quattro paia di buoi nel circo, mentre lei resta irremovibile nella fede; in alto la santa accompagnata dalla mamma malata chiede la grazia della guarigione sulla tomba di S. Agata che le appare. Infine il martirio prevede al contempo la graticola tra alte fiamme e la pugnalata alla nuca mentre un presbitero le dà la S. Comunione, assistito da un chierichetto… tre momenti diversi in una scena unica.

Nel quarto arco dedicato al Martirio di S. Agata, la martire viene raffigurata durante la flagellazione, la prigionia, lo strappo delle mammelle, infine l' episodio centrale della graticola.

Chiude la serie l' arco di S. Pietro d'Alcantara che aiuta i poveri, opera settecentesca a secco di Pompeo Ghitti eseguita al tempo dei Francescani.

Gli affreschi intorno all'organo - un ciclo sulla vita della Vergine dalla Presentazione al Tempio allo Sposalizio - restano per ora nascosti dalla decorazione ottocentesca che si è voluto conservare a titolo di documentazione. Il lembo di volta azzurra a stelle d'oro è ciò che resta dell' intervento dell' architetto Antonio Tagliaferri coadiuvato dal valente pittore Chimeri, operante tra l' altro nella decorazione del Teatro Grande e nelle stanze interne di Palazzo Loggia. Per lo stesso motivo anche la breve area attorno al monumento di mons. Capretti conserva il colore mattonato che ricopriva tutte le pareti.

Il sottostante portico interno o Endonartece delimitato da due colonne dai capitelli di pretto stile bramantesco presenta sull' esterno una triplice effigie di S. Giulia in croce, a sottolineare il legame con la vicina chiesa benedettina, che della martire cartaginese accolse le reliquie portate da Adelchi dalla Corsica. Ne risulta uno spazio quadripartito abilmente sfruttato da un finissimo pittore della cerchia dei fratelli Campi, o lo stesso Lattanzio Gambara, che presenta al centro i Padri della chiesa occidentale (Ambrogio, Gregorio, Agostino, Girolamo) e alle due estremità quelli della Chiesa orientale (Anastasio, Basilio il Grande sulla sinistra, Gregorio Nisseno e Giovanni Damasceno sulla destra). Il pittore ha saputo illustrare con grande abilità dentro una superficie ristretta e discontinua maestose figure di papi vescovi e dottori in abiti liturgici, nelle minuzia descrittiva del bisso e del damasco senza cadere nella goffaggine, al contrario con grande dignità, nonostante alcuni personaggi si vedono costretti seduti o addirittura coricati per la carenza di spazio tra i simboli della autorità, tiare e libri nella animazione di giocosi angioletti.

Al di sotto, vicino al portale di ingresso, quattro affreschi raccontano la vita nascosta di Gesùla Nascita e la Presentazione al Tempio da un lato, e Gesù tra i dottori il Battesimo di Cristo dall'altro, questo ultimo irrimediabilmente privato della figura di Cristo per l' apertura della porta ai tempi del Seminario. Alcuni accorgimenti importanti sono da rimarcare come la luminosità che emana dalla culla nell' affresco della Nativitàalla maniera del Correggio sotto un concerto di angeli in cielo. Nella Presentazione al Tempio colpisce lo sfondo di colonne nella prospettiva del tempio con due laterali scorci di sotto in su di grande teatralità barocca. L' episodio di Gesù tra i dottori presenta altri espedienti luministici come la figura del Divino giovanetto quasi danzante al centro dell' emiciclo tra i vecchi dottori ben caratterizzati. Infine attorno alla porta laterale aperta più tardi è rimasta solo la luminosa bellezza degli angeli che tengono le vesti di Gesù nella scena del Battesimo: c' è la nube e la "voce" come colomba, il Giordano con parte del Battista, ma è venuto meno il protagonista.

Infine merita attenzione il monocromo sopra il portale in posizione defilata dove due angioletti laterali stanno in adorazione di una grande foglia trilobata nelle cui nervature è  distinguibile il Volto sofferente di Cristo. L' albero della vita trova qui una nuova simbologia: nei tre lobi della foglia richiama il mistero trinitario, presentando quindi un compendio mirabile dei misteri principali del Cristianesimo, cioè Trinità di Dio e Incarnazione di Gesù. Il restauro con pulitura ha permesso una leggera leggibilità, ma un eventuale ritocco avrebbe favoririto più grande godibilità.

Ancor oggi viene fatta rilevare da visitatori la diversità di stile degli affreschi dell' endonartece con gli altri della chiesa, per cui molto presto (vedi il Vezzoli) si ipotizzò per quelli l'intervento di un artista in aiuto a fra' Benedetto da Marone, avanzando il nome di Lattanzio Gambara (1530-1574).

Il tratto incisivo e il preziosismo dei particolari dei Padri della Chiesa fa pensare a un autore aperto agli influssi nordici o ponentini del Duerer vicini allo stile di Giulio Campi che nelle sua prime opere ha manifestato questa tendenza. La presenza di Giulio è testimoniata nel bresciano insieme a quella del fratello Antonio negli affreschi del castello Martinengo di Villachiara, e nelle tele in Pinacoteca e alla Loggia.

Il Gambara è un pittore della scuola dei Campi in Cremona, dove compì l' apprendistato fino al 1550, più tardi collaboratore del Romanino e suo genero, avendone sposato la figlia Margherita. E' autore tra l'altro del ciclo di affreschi nella navata del Duomo di Parma (1573).

Maestro in prospettiva, abile nel disegno dalla pennellata ampia e luminosa ci ha lasciato numerosissimi affreschi di argomento sacro e profano in chiese e ville della città e del contado. Espressione del manierismo cinquecentesco, ha saputo fare tesoro degli esempi offerti dal Correggio a Parma, da Giulio Romano a Mantova, dalla scuola cremonese dei Campi.

Terminò la vita ancor giovane, si diceva, cadendo da una impalcatura della cupola di San Lorenzo in città, i maligni dissero spintovi da colleghi invidiosi del suo successo e della ricca committenza. In realtà si spense nel  letto della sua casa in via Gabriele Rosa.

Giorgio Vasari che era stato in Brescia e l' aveva incontrato nel suo atelier ne fu vivamente impressionato tanto da scrivere nelle Vite dei pittori che "aveva oscurato talmente la fama del Romanino da farne dimenticare persino il nome!" E continua scrivendo:" Avendo imparato l' arte sotto Giulio Campo Cremonese è oggi il migliore pittore che ci sia in Brescia . E' di sua mano ne' Monaci Neri di S. Faustino la tavola dell' altar maggiore e la volta e le faccie lavorate a fresco con altre pitture che sono in detta chiesa".

Nel presbiterio luogo della celebrazione eucaristica gli affreschi hanno un riferimento più diretto al Pane del Cielo. A destra è la grande scena della Raccolta della manna nel deserto e, sopra, diviso dalla alta finestra, Elia soccorso dall'Angelo  nel deserto con pane e acqua. Sul lato opposto sono due episodi della vita di Abramo: il maestoso incontro di Abramo con Melchisedech: il grande sacerdote lo accoglie e offre pane e vino al vincitore della guerra contro le cinque città che a sua volta lo ricompensa della decima del bottino. In alto Abramo sacrifica Isacco, prefigurazione del sacrificio di Gesù. L' episodio di Melchisedech viene sapientemente illustrato secondo le teatrali partiture di Giulio Romano, visibili anche dopo il restauro e le ricostruzioni del Trainini del 1931, del resto ben distinguibili. Qui il Marone dà il meglio di sé riuscendo a fondere armonicamente insieme il disegno e la tavolozza dei colori con una resa molto attenta ai dettagli, come il particolare dei calzari aurei in primo piano.

Sulla crociera sono i Quattro Evangelisti abbinati ai tradizionali simboli del leone, dell' angelo, dell'aquila e del bove al centro di una decorazione fastosa dove c' è posto per le virtù cardinali e teologali rappresentate da figure femminili, intercalate da festoni e grottesche, tipica manifestazione della maniera.

Al centro dell' abside era l' altare di marmo bianco botticino del Seminario opera del geom. Marchesi, rimosso in seguito alla riforma liturgica del Vaticano II, sostituito da un altro di legno firmato Poisa 1970: ora lo spazio è disponibile occupato da un fratino per i numerosi eventi che vi sono ospitati. Lungo la parete è ritornato il coro di noce restaurato dalla ditta Guerini di Ponte Zanano, si trova pure il crocifisso ligneo del 1970 di Antonio Gritti, scultore operante nella stessa bottega-laboratorio del più celebre Giacomo Manzù ( o meglio Manzoni) in via Spaventa 22 di Bergamo. Ai lati del crocifisso due affreschi strappati e alquanto deteriorati raffigurano la Lavanda dei piedi e L' Ultima Cena, di cui viene detto a parte. 

Tra le velature del catino absidale appare un vegliardo con le braccia aperte nel gesto della donazione, è Dio Padre che offre il Figlio raffigurato più sotto nella momento della sua donazione sulla croce tra Maria e Giovanni. Quindi la croce presente in affresco e in legno si pone giustamente al centro della contemplazione della assemblea orante durante l' azione liturgica.

La scena centrale del Cristo in croce è preceduta da La caduta e La Crocifissione di Gesù e seguita da Gesù deposto dalla croce e Gesù messo nella tomba. Una piccola notazione: nella lunetta della deposizione è possibile notare sopra la testa di Giovanni il curioso particolare di una testa maschile rivolta alla croce: si tratta di un lacerto quattrocentesco che si ritenuto opportuno conservare come testimonianza della primitiva dipintura. E' stato sottolineato come lo stile di queste cinque scene appare ancora rigido, la ricerca del plasticismo le rende impacciate in contrasto con gli angeli soprastanti dalle vesti svolazzanti.

E' possibile ora dare una sintesi del progetto iconografico di fra' Benedetto da Marone: il gesto dell'amore divino verso il mondo ha nell'abside il suo punto di partenza, prefigurato nella manna e negli episodi della vita di Abramo, Isacco, Melchisedech, Elia. Nel contesto della crociera il messaggio viene proclamato dalla parola dei quattro Evangelisti. Gli episodi della vita nascosta di Gesù nell' endonartece presentano l' inizio, che si completa nel martirio dei Santi tra gli archi delle pareti. Quando alla fine dei tempi nel Giudizio Universale ci sarà la Parusia.

In un ampio ciclo pittorico viene illustrata una summa dell'opera della salvezza, comprensibile anche dagli illetterati e resa di facile comprensione alle anime semplici. Serve di spiegazione a chi non ha dimestichezza con la teologia, ma viene presentata alla devozione di tutti i fedeli indistintamente per invitarli alla lode di Gesù Eucaristico. Questa pittura, che S. Gregorio chiama "il libro degli ignoranti" o Biblia pauperum, utilizzando il metodo didattico-catechetico vuole proclamare la fede della Chiesa ad majorem Dei gloriam, allo scopo di esaltare il mistero centrale di Gesù, ancor oggi vivo in mezzo a noi nell'Eucaristia, come nella dedica della chiesa al SANTO CORPO E SANGUE DI CRISTO.

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