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La costruzione della chiesa

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Il cantiere della chiesa inizia nell' anno 1467 e si protrae fino al 1473 data della morte del conte Antonio Martinengo. Dall' Archivio Segreto Vaticano abbiamo questa testimonianza: "Il monasterio di Noi PP. Gesuati di ST. Girolamo di Bressia situato dentro alle muraglie et cinto d' essa chiesa, fu fondato l' anno della comune salute 1467 il mese di novembre".

Orientata in senso nord-sud contrariamente al tradizionale est-ovest, ha le fondamenta absidali tre metri sotto il livello stradale della collina. Lo scopo di questa forte retrocessione è quello di avere  più spazio sulla facciata per usufruire di un sagrato adeguato al termine della salita. La conformazione del luogo non si prestava alla tradizionale direzione est-ovest. Lo esigevano  ragioni  di visibilità dal basso e di prospettiva con la direttrice di via Piamarta-via Veronica Gambara della quale la facciata costituisce l'alto fondale di un effetto canocchiale con inizio in via Tosio. Non meno importanti le ragioni pastorali per un edificio di culto a servizio del popolo che con l'orientamento antico si sarebbe trovato con la facciata rivolta verso la scarpata collinare dietro il Capitolium, un evidente nonsense.

Sconosciuti sono i nomi dei mastri-costruttori per la progettazione e edificazione del complesso. Lavorava in quel periodo degli anni 1460-78 Fillippo della Vacche insieme a Giovanni del Formaggio per l' incarico avuto dall' ultima badessa a vita, la madre Elena Masperoni, di costruire un coro per le Monache in S. Giulia. E' questa una struttura di sicuro linguaggio rinascimentale nei tre archi romani (con citazione dall' Alberti del Sant' Andrea di Mantova ) una grande novità per quel tempo "tra le più rivoluzionarie manifestazioni della architettura lombarda in quegli anni" (A. Peroni). Nel 1483 Filippo collaborò inoltre alla trasformazione del trecentesco monastero di San Francesco con Antonio Zurlengo. Un altro importante mastro, Bernardino da Martinengo ( 1440-1504), viene citato per la chiesa del Carmine, il coro del Duomo Vecchio e Santa Maria degli Angeli di Gardone val Trompia.

In ogni caso, senza cercare tra i nomi più conosciuti del tempo, i Gesuati erano esperti in arti e mestieri, (è rimasta famosa la vetreria a Firenze su disegni del Perugino) e quindi anche nella muratura, per cui in mancanza di fonti storiche non possiamo escludere una loro direzione nella ideazione-costruzione dell' edificio.

Del resto la struttura dell'edificio è delle più semplici e tradizionali. San Cristo risente degli influssi del momento tra gotico e rinascimento, come tanti edifici bresciani della fine del '400, in questo clima di fervore costruttivo agevolato dalla Serenissima intenzionata a rimodernare la città con edifici in pietra dopo il lungo periodo di guerre con i Visconti, seguito da carestie e pestilenze.

La presenza dei primi vescovi veneti mons.Pietro del Monte, mons.Bartolomeo Malipiero e soprattutto mons. Domenico de Dominici (…-1478) legato alla cultura della devotio moderna di papa Eugenio IV, del card. Antonio Correr e di Ludovico Barbo porta una ventata di rinnovamento religioso. Le predicazioni di autorevoli esponenti di ordini religiosi da S. Bernardino al Savonarola al Capestrano spingono la popolazione e in particolare la nobiltà in una gara di generosità tale che a un certo punto la Serenissima si mostra preoccupata per lo spazio sempre meno disponibile per le attività produttive dentro le mura cittadine. Più tardi sotto il papato di Alessandro VI Borgia e la presenza dei vescovi nepotisti Lorenzo Zane e quella lunghissima del nipote (o figlio naturale) Paolo dal 1481 al 1531 vi è un totale abbandono del governo diocesano, il cui merito è quello di lasciare campo libero ai vicari, agli ordini, alle confraternite e alle autorità civili di attuare una riforma dei costumi e della religiosità chiamata anche riforma pretridentina bresciana.

La facciata in cotto di stile lombardo ha il tetto a capanna e il rosone in bianco-botticino alternato al grigio-sarnico. Sopra lo spiovente svettano tre pinnacoli in laterizio di gotica reminiscenza e subito sotto corre una colorata cornice di archetti trilobati in maiolica smaltata verde e gialla, provenienti dalle fornaci Martinengo di Orzinuovi, simili a quelli del chiostro grande del convento di Rodengo Saiano, di S. Agata e del Carmine. Secondo il Morassi (1939) la facciata doveva essere interamente intonacata e dipinta.

Al centro di un' alto zoccolo di marmo botticino, recuperato in parte dal sottostante Foro Romano (vedasi in particolare le formelle esagonali del lato destro un tempo sul soffitto della cella centrale del Tempio Capitolino) si apre un portale dalle forme chiaramente rinascimentali con ricche candelabre simili a quelle della chiesa del Carmine e di S. Maria delle Grazie, nello stile dei Rodari di Lugano (secondo Morassi), lapicidi della valle di Intelvi, patria dell' Antelami e operanti sui portali del duomo di Como. Si consideri che questi lavori sono coevi con il grande cantiere della Loggia e di S. Maria dei Miracoli dove l' apparato decorativo è opera di artigiani di Porlezza, tra i quali sono citati Gaspare Cairano e Tamagnino.

Ai lati del portale sono scolpite due candelabre con un basamento a sostegno di tre livelli di putti musicanti, l' ultimo dei quali tiene un cartiglio con JHS simbolo di San Bernardino da Siena. Lo stesso simbolo si trova ripetuto sulla traversa della porta pedonale vicina al passo carraio. La candelabra si completa nel capitello composito con due delfini che si abbeverano a un cantaro, segno di augurio di salvezza e di guarigione. Il delfino infatti è associato al culto di Apollo Apotropaeos, colui che scaccia il male, venerato nel santuario di Delfi.

L'architrave soprastante, spezzata durante i lavori di impostazione, si presenta riccamente scolpita. Al centro campeggia  un Cristo mentre esce dal sepolcro, imago pietatis di origine bizantina imitazione della Sindone, che ben sintetizza il senso pasquale di Gesù morto come uomo ma risorto in quanto Dio. Egli è lo sposo dell' umanità e la sua presenza in questo contesto ha il significato di unire idealmente i due rami della famiglia Martinengo e Colleoni presenti con lo stemma rispettivamente dell' aquila e del fiocco, due casate unite dalla politica matrimoniale: basti pensare alle tre figlie del Colleoni, avute dal matrimonio con Tisbe Martinengo, andate spose ad altrettanti Martinengo. Il tutto è accompagnato da coppie di angeli a sei ali (serafini) a significare la presenza benedicente di Dio e da altrettante cornucopie traboccanti frutti come auspicio di prosperità e abbondanza.

Il portale è sormontato da un timpano triangolare ornato di due teste di leoncini in pietra bianca. Accoglie all' interno due affreschi sovrapposti che danno colore alla facciata, quello in basso, dentro un arco dentellato, rappresenta due angeli adoranti l' Ostia in ostensorio a torre, affresco della mano di Paolo da Caylina il Vecchio pittore presente anche all' interno della chiesa, mentre il soprastante assai più grande è a mala pena leggibile.

Ormai dilavato, lascia percepire una ANNUNCIAZIONE sullo sfondo di una bifora (in realtà ci sono altre due bifore laterali) aperta sul paesaggio.

Non si fa menzione di questa opera nella letteratura antica perché molto degradata. La corretta individuazione spetta alla dott. Lucchesi Ragni (1980) la quale, basandosi su un disegno conservato all'Accademia Carrara di Bergamo, ascritto con ogni sicurezza al nostro Moretto dal Ragghianti (1962), lo dice opera del grande bresciano.

Che si tratti di un disegno giovanile si rileva dalla incertezza anatomica del braccio sinistro dell' angelo Gabriele, ancora dalla bifora aperta sul paesaggio di gusto bramantesco e alla destra la figura di Maria inginocchiata nel tradizionale raccoglimento: l'intervento dovrebbe collocarsi nel 1530 come l' Annunciazione della Pinacoteca Tosio Martinengo, stilisticamente affine.

Il tutto è stato ripulito nei restauri del 1981 di Pierpaolo Cristiani, Alberto Fontanini e Luisa Marchetti. Ancora nel 2000 è stato rivisto dall' ENAIP. Malgrado ciò risulta difficile leggere le due bifore laterali ben chiare nel disegno e le figure dell'angelo e della Madonna, ormai ridotte a una ombra di colore.

Negli anni 1970 l' affresco fu schermato da un vetro che avrebbe dovuto salvarlo dalle intemperie, in realtà ha causato la condensa dell' umidità con conseguenze irreparabili. Quando si tolse la protezione il danno si rivelò ormai irreversibile.

Il campanile è costruito nella parte inferiore con medolo, pietra del posto zona Castello, e completato nella parte più alta nel XVI secolo in cotto. La parte terminale era a cuspide piramidale come nelle mappe antiche, ora si presenta nella forma squadrata della torre con cella campanaria. Il motivo decorativo delle mensole è un cordiglione in cotto che percorre gli spigoli della cella e degli archi, come appare a Rodengo o all' Annunziata di Rovato.

L' INTERNO ad aula unica come tante chiese lombarde del '400 presenta il coro ad una campata a crociera con costoloni leggermente acuti. L'abside, munita di catino a cinque spicchi tardo gotici, si collega alla navata con un grandioso arco trionfale ogivale.

La novità sta nel soffitto della navata attraversato da una fitta rete di costoloni cordonati che partendo da sei peducci per lato s'intersecano a più riprese sullo sfondo di una volta a tutto sesto, creando degli archi acuti e spazi a losanghe destinati ad ospitare i dodici apostoli. "E' da sottolineare la stranezza di come un elemento gotico, il costolone cordonato, viene innestato tardivamente ( siamo verso il 1560 ) su una struttura che di gotico, nel senso corrente della regione lombardo-veneta, non ha mai avuto a che fare".

I costoloni partono dai dodici peducci, cioè capitelli appoggiati alle pareti sei per parte e sulla volta si intrecciano formando una trama di rombi. Le loro intersezioni sono puntate da medaglioni di terracotta colorata raffiguranti tre diversi temi eucaristici. Quelli sulla sinistra mostrano il calice con l' ostia, nella fila centrale il volto di Cristo, infine quelli a destra il trigramma JHS.

J H S

Il simbolo Jesus Hominum Salvator viene ripreso al centro della volta a caratteri cubitali in caldo colore dorato, associato al segno della croce e della colomba dello Spirito Santo tra una corona di nubi e angioletti in una visione celestiale: dalla tonalità giallo oro della zona centrale passa al rosa intenso per sfumare in una cerchia di nubi azzurre delimitate dai volti degli angioletti. L' emblema acquista ancor più luminosità in virtù delle quattro losanghe a motivi fitomorfi in monocromo cinereo che fanno emergere la luce di centro. All'interno delle losanghe nella rete dei costoloni sono disposti i dodici apostoli in ordine di importanza secondo l' elenco liturgico, a cominciare da Pietro il primo sulla destra vicino al giudizio fino all'ultimo Mattia in fondo sopra la cantoria.  

Il plafond attuale nasconde la soprastante capriata del tetto tipica delle antiche pievi come alla Mitria di Nave e S. Maria degli Angeli a Gardone val Trompia. Con questo intervento fra' Benedetto da Marone  inserisce una struttura a rombi intrecciati in vista del ciclo pittorico (secondo le indicazioni delle norme sulla pittura sacra stabilite dal Concilio di Trento) che ha la sua chiave di volta in un Giudizio Universale con Cristo e gli apostoli, ad imitazione del primitivo modello michelangiolesco suggerito da papa Giulio II.

La zona dell' endonartece è chiaramente una struttura in stile rinascimentale su due colonne dai capitelli di stile bramantesco formanti tre archi, una assoluta e singolare novità per la nostra città: i tre archi a tutto sesto reggono la cantoria con l' organo. Sotto il portico attorno all' ingresso, come in un vestibolo, le pareti sono decorate da quattro pregevoli affreschi narranti l' infanzia di Gesù.

Per quanto riguarda gli accessi erano previste due porte nel presbiterio rispettivamente per il campanile e per la sacrestia, mentre nella navata oltre al portale di ingresso c' era la porta laterale vicina all' arco trionfale con la speculare dell' opposta parete, ora murata. La laterale in fondo è stata aperta al tempo del Seminario sacrificando il Gesù del Battesimo, ed è anche la più utilizzata.

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