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La famiglia da Martinengo - Gli inizi della chiesa

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Già nel 1450 ANTONIO I, figlio di Giovanni Francesco Martinengo del ramo di Padernello, offre ad Antonio da Venezia, generale dei Gesuati riuniti nel Capitolo di Firenze del 1450, un luogo in Brescia che viene rifiutato: "per ora si sospendesse, remissero in Antonio, se gli paresse de andare a vedere il sitto e 'l luogo et sospendere per ora et ringraziarli". Il terreno di Antonio fu accettato nell'aprile del 1467 dal Capitolo di Ferrara insieme con una donazione di 500 ducati oro sempre da parte dello stesso nobile per dare inizio ai lavori del convento.

Il 3 settembre anche Sandrino de' Chiuchi offre un pezzo di terra nei pressi di S. Giulia. E ancora l' 8 dicembre Antonio Guidoni vende una casa, che probabilmente serviva da abitazione ai primi Gesuati in attesa di terminare i lavori del convento.

Del 1468 è un contributo comunale per la fabbrica del convento dei Gesuati annesso alla chiesa, attestato dagli "Indici Poncarali " sul luogo in cui esisteva prima il monastero femminile delle Canonichesse di S. Agostino. Nel 1471 si ha notizia della chiusura di un terreno verso S. Pietro in Oliveto e della nomina di fra' Paolo da Pisa a vice rettore di Brescia.

Il 13 ottobre 1473 Antonio I Martinengo muore e nel testamento ordina e vuole che il suo corpo sia riposto nella chiesa del S.Corpo di Cristo "per ipsum fabbricata ante primum et principalem altarem..."cioè davanti al primo e principale altare della chiesa costruita per sua iniziativa.

Il giorno di S. Rocco del 1471 si ebbero due scosse di terremoto seguite da altre nella notte di S. Antonio del 1473 e ancora il 7 maggio: non sono la causa delle crepe che si vedono attraversare la facciata verticalmente poiché la chiesa è costruita dal 1473. Altri terremoti sono avvenuti in seguito, per esempio nel 1481, nel 1496, 1505, nel 1511...

E' datato del 13 giugno 1474 l' atto di donazione di papa Sisto IV della chiesa di S. Pietro in Ripa ai Gesuati secondo il Dufner.

* Primo figlio di Antonio è GASPARE, capitano nell' esercito del Colleoni di cui sposò una delle figlie -Caterina - ereditando il palazzo Colleoni alla Pallata (ora Oratorio della Pace). Egli è il capostipite di questo ramo dei Martinengo detti per l' appunto della Pallata o anche di Collebeato per via della villa in cui soggiornavano, con possedimenti anche a Ghedi e a Leno. Partecipò alla definizione delle clausole della Pace di Lodi e lasciate le armi si applicò alla cura del patrimonio dedicandosi all' agricoltura nel castello di Orzinuovi.

Morì il 14 settembre 1481 lasciando scritto nelle sue ultime volontà di essere sepolto "ante portam ecclesiae dedicatae sub vocabulo corporis Christi in citadela veteri per prefatum suum genitorem et per ipsum testatorem fabricatae", cioè davanti alla porta della chiesa dedicata al corpo di Cristo nella cittadella vecchia costruita per volontà del suo genitore e anche testatore. 
Poiché a Gaspare si riferisce direttamente lo stemma a sinistra (simmetrico a quello della famiglia Colleoni) sull'architrave del portale, è da ritenersi che questo ultimo sia stato eseguito negli anni dal 1473 al 1481.

La salma di Gaspare, contrariamente al dettato testamentario, venne riposta nella prima tomba al centro della navata con l'iscrizione:

D . OP . MAX
VTINA . FATA . VENDERENT
ANIMAS . EXIMERENT
TE . QUE . CARIPENDEBAT
RELIGIO . MILITIA . RESP . 
GASPAR . MARTINENG .
SACRU . PR . IDUS . SEPT .
M . CCCC . LXXXI

Attualmente la lapide si trova davanti alla porta di ingresso, insieme alle altre lastre tombali, proprio come
aveva voluto il testatore.

* Secondo figlio di Antonio del ramo di Padernello é BERNARDINO, che muore nel 1501 e viene sepolto ugualmente in S. Cristo. Discepolo prediletto dell' umanista Picardi, dopo gli studi in legge si sposò con Rizzarda contessa di Collalto. Nemico dei Gambara, fu anche uomo d' armi combattendo nella battaglia di Fornovo del 1495. Lascerà per testamento la volontà di " un sepolcro insigne" in San Cristo.

Il figlio Francesco ne affida a Bernardino delle croci la decorazione marmorea secondo il contratto del 29 maggio 1503. Dispone di collocarlo nel punto di mezzo della navata sinistra e di impreziosirlo di marmo serpentino e nero con aggiunte di bronzo, da sottoporre al parere tecnico di quattro esperti.

Il condottiero MARCANTONIO, di Lodovico e Cecilia Ganassoni, giovanissimo seguì la carriera militare, fu anche architetto militare alla fortezza di Palmanova: nel maggio 1526 accorse con la cavalleria nella Lega di Clemente VII contro spagnoli e lanzichenecchi, fece prigioniero Luigi Gonzaga il Rodomonte, ma ferito lui stesso nella battaglia di Agnadello fu portato a Brescia, dove morì il 28 luglio 1526. Non avendo figli divise l' eredità tra i due fratelli Mariotto e Gaspare. Dopo solenni funerali presieduti dal vescovo Mattia Ugoni e con partecipazione di grande folla venne sepolto nell' artistico monumento funebre ( al Museo S. Giulia dal 1882) addossato alla parete sinistra privo di dedica o di iscrizione alcuna, ciò lascia supporre che fosse il sepolcreto di tutta la casata. Il defunto viene descritto dal vescovo celebrante:" era de persona grande et bene informato, era vendicativo et poche parole et bruno in faza et homo smorto over palido."

Anche Marcantonio II di Lodovico, morto nel 1560, fu tumulato nel sepolcro di famiglia.

Commissionato nel 1503 e ultimato intorno al 1516 il MONUMENTO MARTINENGO rappresenta un capolavoro assoluto dell' arte decorativa del ' 500 bresciano. Esso riecheggia lo stile rinascimentale che si va imponendo con la decorazione scultorea della Loggia e di S. Maria dei Miracoli, prima chiesa veramente rinascimentale: dalla facciata di questa chiesa trae ispirazione per l' impostazione della quattro colonne e della fastosa decorazione tipicamente lombarda nella scia dell' Amadeo della Certosa di Pavia e Cappella Colleoni.

Su una consistente base di marmo Carrara ristretta in una seconda più leggera si innalzano quattro colonne a candelabra in grigio serizzo poggianti su plinti, corrispondenti sul retro ad altrettante lesene.
In alto una architrave dello stesso colore sostiene l' imponente arca rifinita di una sezione di marmo rosso di Verona che doveva infine culminare in un timpano o fastigio ( v. l' arca di S. Apollonio in Duomo Nuovo), ora modestamente in due statue dei SS. Pietro e Paolo poste agli angoli.

L' opera si presenta eccezionale per via della profusione di ornamenti in un intreccio di particolari su tutta la superficie, dai motivi astratti e geometrici che rivestono le basi delle candelabre e i fusti arricchiti di fiori e frutti a grappolo intrecciati a volti angelici. Il fascino dell' insieme viene esaltato dalla varietà del marmo in diverse cromie che si integra con le parti bronzee: in grigio serizzo sono i fusti delle quattro colonne e lesene nonché dell' architrave, in bianco Carrara la base marmorea, i plinti e i capitelli delle colonne, l'arca è rivestita di pannelli bronzei.

Ogni elemento del mausoleo manifesta la maniera rinascimentale dai tratti tipicamente lombardi espressi da artisti locali come Stefano Lamberti, Giovanni Antonio Amedeo e Maffeo Olivieri, al quale ultimo in definitiva viene generalmente attribuito per la impostazione generale e per la parte marmorea, anche se l' Olivieri sapeva essere più abile bronzista come dimostrano i candelabri in San Marco a Venezia.

Resta comunque insoluta l' attribuzione delle parti marmoree, e in mancanza di atti notarili si propende all' intervento di più mani in progress. Tra queste si deve citare quella di Gasparo da Cairano autore tra l' altro dei 24 busti di imperatori nella Loggia insieme ad Andrea della Porta detto il Tamagnino.

Per le applicazioni e gli ornamenti in metallo viene fatto il nome di Bernardino delle Croci (+1528) orafo di Parma designato per l' appunto aurifex orefice, ma anche capace bronzista. Risulta da atti notarili che l' 8 agosto 1516 fu a lui pagato un ultimo importo per rifiniture non altrimenti definite. La stessa analisi stilistica denuncia che il monumento è frutto di più mani, eseguito in tempi successivi, ascrivibile ad artisti diversi.

I motivi figurativi vogliono raccontare per immagini la vita di un nobile, di cui vengono espresse:

 le virtù personali - nei plinti con ritratti di imperatori romani classicheggianti ,
    le virtù civili - nel corteo del fregio con i Trionfi della fede, della fortezza, della giustizia, della carità

le virtù cristiane - nei tre pannelli bronzei rimasti (quello di centro è stato aggiunto in legno, mentre manca sul lato destro) della passione di Gesù come l' Orazione nell' orto, la Flagellazione, la Deposizione, la Salita al calvario.

Lo stile complessivo dell' opera richiama moduli compositivi lombardi della Certosa di Pavia, della Cappella Colleoni e di S. Maria dei Miracoli, ma sono evidenti citazioni e motivi desunti dalla scuola padovana orientata classicamente. Per un interessante raffronto si possono citare altre opere coeve come l' Arca di S. Apollonio in Duomo Nuovo e quella di S. Tiziano.
Numerose sono purtroppo le spoliazioni subite dal monumento come il pannello bronzeo centrale e quello sul fianco destro, il fregio del lato destro e buona parte di quello trionfale con dodici dei tondi dei plinti.

Chiaramente il monumento parla di Marcantonio, anche se la tomba poteva servire a tutta la famiglia. Del resto fu trovata nei pressi una lapide, ora sul sagrato, che recita

MORS APAGE ASSUERUNT DARE STYGMATA QUINA SALUTEM M. D. CC. II

cioè: "o morte allontanati, le cinque piaghe del Signore sogliono dare la salvezza", con riferimento alla violenta morte in battaglia dell' eroe. Il monumento comunque non porta alcuna iscrizione dedicatoria, mentre compare lo stemma gentilizio, l' aquila, sulla fascia inferiore del sarcofago.

Alla destra del pulpito è murata l'iscrizione di un altro Martinengo dei conti Palatini, TEOFILO di Ercole, morto nel 1565. Parteggiò per il partito francese ma dopo il 1521 si arruolò nell' esercito veneto. Ebbe uno scontro con il comune di Brescia che voleva negare alla sorella suor Leonella il permesso di edificare un nuovo monastero. E' ricordato da una lapide dentro cornice mistilinea:

- Theofilo Martinengo - comiti equitiq.clariss. - patri avog. pius Curtius - com. f. et nepotes f. c. -MDLXV.

Si legge ancora tra le note: Nell'anno 1633 varca la soglia terrena ANDREA di Antonio II del ramo di Padernello e la salma è accolta in S. Cristo. Questi si distinse per il carattere prepotente, voluttuoso, violento. Fu uomo di mondo, giocatore di palla e attaccabrighe, per cui ebbe spesso a che fare con la giustizia veneta per delitti commessi o comandati, per scenate clamorose contro le famiglie Gambara e Porcellaga compiute insieme al fratello Girolamo. Più volte imprigionato, esiliato a Zara e a Capodistria e quindi liberato, fece grande scandalo insieme al fratello nel parlatorio delle monache di S. Giulia, come mandante dell' assassinio del canonico visitatore del monastero. Avendo solo figli naturali, alla morte nel 1633 lasciò ai nipoti, i figli del fratello compagno di avventure.

Una testimonianza della presenza di questa preminente famiglia bresciana è lo STEMMA DI FAMIGLIA, l' aquila a una testa che guarda ad ovest. Esso è l' antico emblema del comune di Martinengo nella bergamasca, l' aquila nera dei Ghisalbertini, che nel ramo bresciano diventa aquila rossa in campo d' oro.

La scultura presente in S. Cristo sotto l' affresco della Natività dell' Endonartece unisce all' aquila Martinengo il simbolo delle tre palle del Colleoni a testimoniare lo stretto legame tra le due famiglie.

Nel 922 Giselberto I è nominato conte di Bergamo da re Rodolfo dopo la vittoria su Berengario. A cavallo dell' anno mille la famiglia lascia la città ormai dominata dal Vescovo e prende dimora nel castello di Martinengo al centro dei suoi possedimenti terrieri.

Da li alcuni membri passarono il fiume Oglio in territorio bresciano dove avevano già delle proprietà, dando origine alla omonima famiglia bresciana, l' unica che mantenne in nome di Martinengo. Gli altri membri si trasferirono a Cortenuova e presero il nome di conti di Cortenuova.

Nel XII secolo i Martinengo erano considerati nobili bresciani a tutti gli effetti e si arricchirono come appaltatori di decime e di opere pubbliche: da potenti vassalli della corona divennero vassalli minori del vescovado, salendo la scala dei vari onori fino a quella del vicedomino, rivestendo anche cariche civili in molte città d' Italia. Possedevano terre in tutto il bresciano, confinanti con quelle dell' Abbazia di Leno che aveva come vassalli i Gambara, ma mantennero per secoli quelli vicini all' Oglio facendo bonifiche, regolando il percorso dei corsi irrigui che ancor oggi portano il nome della casata, dissodando i terreni incolti.

Il capostipite di tutte le famiglie Martinengo del territorio bresciano è considerato Pietro. Nel 1350 il vescovo Bernardo Incardo, cistercense francese (che non si mosse mai da Avignone per governare la diocesi di Brescia, ma l' affidò sempre a vicari spirituali e temporali) nominò il miles Pietro Martinengo Vicario Generale in temporalibus, indicato come intendente della mensa vescovile comprendente i larghi proventi di decime, censi, livelli e affitti.

E' del 1392 il patto di maggiorasco di Prevosto con i fratelli Antonio e Gherardo per evitare la dispersione del patrimonio.

Da Prevosto discendono i rami:

- Martinengo da Barco
   - Martinengo delle Palle
   - Martinengo di Padernello
   - Martinengo della Pallata

Da Gherardo discendono:

- Martinengo Palatini
   - Martinengo Colleoni 
   - Martinengo Cadivilla Orzivecchi
   - Martinengo Cesaresco

Da Antonio discendono:

- Martinengo di Villachiara
   - Martinengo di Villagana
   - Martinengo della Motella

Nei secoli XV e XVI ci saranno altre ramificazioni a seconda delle sedi rurali. Fregiati del titolo di conte sono ascritti al patriziato bresciano, alcuni anche a quello veneto. Lo stemma primitivo della famiglia resta l' aquila rossa coronata in campo d' oro.

Il condottiero della Repubblica Veneta Bartolomeo Colleoni dal matrimonio con Tisbe Martinengo ebbe tre figlie:

Orsina - sposa di Gherardo Martinengo che erediterà il titolo di Colleoni con Malpaga e Cavernago.
    Isotta - figlia legittimata sposata a Giacomo Martinengo                 
Caterina - coniugata nel 1456 con Gaspare Martinengo - alla quale nel testamento del 27 ottobre 1475 lascia la casa di famiglia presso la Pallata, ora sede dell' Oratorio dei Padri della Pace. Gaspare è il capostipite del ramo detto della Pallata. Nel testamento dispose tra l' altro di essere sepolto sul sagrato di San Cristo, non ritenendosi degno di riposare all' interno.

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