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Se avete due settimane di tempo e qualche spicciolo...

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Ultimissime notizie dai nostri laici in visita alla missione del Bangladesh...

27 gennaio 2018

Giovedì P. Luigi, con la scusa di dover andare a ricevere all’aeroporto di Jessore una ragazza italiana che si fermerà un paio di mesi qui, ci ha condotto in un tour, mostrandoci i tanti modi di fare missione qui in Bangladesh. In primo luogo ci ha portato dall’associazione Rishilpi, fondata più di trent’anni fa da un ex saveriano e da una ex suora (a volte succede…). Entrati dal cancello ci si trova in una città nella città, con scuole di ogni ordine e grado, strutture sanitarie e riabilitative per handicappati, tante attività artigianali, perfino una panetteria e un ristorante.

Enzo e Laura ci hanno raccontato la loro storia: di come poco alla volta, cercando di rispondere ai bisogni dei più poveri, i fuori casta, abbiano proposto attività di artigianato e cercato finanziamenti che hanno loro permesso di realizzare tutto questo: ora sono migliaia le donne dei villaggi che lavorano per l’artigianato e i bambini adottati a distanza, e centinaia le persone assistite nel centro. Essenziale il rapporto con l’Europa, sia per la vendita dell’artigianato che per donazioni e progetti.

Seconda tappa l’ospedale di Jessore: fondato da fratel Bucari, medico saveriano e dove ha lavorato a lungo fratel Gildo, che ora gestisce il quarto piano della casa madre. Grande costruzione, pulita e efficiente; il medico responsabile, che ci ha accompagnato per una breve visita, ci diceva delle difficoltà a far quadrare il bilancio, ora che la gestione è stata passata ai locali, malgrado l’aiuto di una congregazione femminile.

bangladesh giovanna1Altra tappa, sempre a Jessore, il grande centro di formazione, voluto anni fa da P Marcello Storgato e ancora gestito dai saveriani. Anche qui presenza di suore, che ne garantiscono il funzionamento. Il centro promuove la formazione dei catechisti, oltre che luogo per tanti incontri e convegni, anche residenziali. Qui viene messa in primo piano l’importanza dello studio, della formazione, dell’educazione nel percorso di emancipazione dei fuori casta.

Partiti verso sud, a una quarantina di km, su una strada davvero rovinata, arriviamo in un villaggio dove vive da 35 anni P Gabriele, in casette uguali alle altre, dove accoglie e vive con handicappati, in una scelta di condivisione radicale. Impressiona lo sguardo sorridente e sereno, la gioia dell’accoglienza, il farci partecipi di ciò che ha.

Ancora qualche km e arriviamo da Suor Filomena, che con due consorelle della congregazione delle Luigine di Alba di Cuneo, vive anche lei immersa in un piccolo villaggio, condividendo la vita con questo popolo.
Infine la parrocchia di Shakira, con l’accoglienza sempre cordiale di P. Valotti, in una struttura coloniale riadattata allo scopo.

Abbiamo incontrato tante persone, tutte che hanno dato la vita per la missione, forse intendendola in modi diversi ma sempre con grandissima generosità, passione, dedizione.

In una news letter natalizia, P Luigi argomentava che la missione deve sempre contemplare le tre fasi: diaconia, (servizio): l’ospedale, le scuole, il lavoro… Insieme la koinonia (comunione) cioè la partecipazione paritaria alla vita del popolo ed infine kerigma (annuncio) come conclusione di un percorso.

Tante cose su cui riflettere e che ci porteremo in Italia come un dono.

  • Paolo e Giovanna.

 

2 febbraio 2018

La sera prima della partenza per rientrare a Kulna, grande festa con balli, canti e “vestizione” degli ospiti, come alcuni di voi hanno potuto vedere da foto terribili!!! Ma le “selvagette” sono allegre, cordiali, spontanee, e ci fanno passare proprio una bella serata.
Arrivati a Kulna il giorno successivo, immediatamente immersi nell’incubo del bazar, un immenso spazio coperto con centinaio di piccoli negozi che vendono di tutto, per la gioia di Giovanna e la mia disperazione: pensate che, preso dalla frenesia, mi sono fatto fare due camicie su misura….

Ma per fortuna la città a ben altro da offrirci e nei giorni successivi visitiamo l’ospedale dove sei mesi l’anno lavorano a turno medici italiani, con un’organizzazione perfetta coordinata da un padre saveriano e l’ospedale del PIME per la lebbra e la tubercolosi dove Franca ha lavorato tre mesi per l’assenza della suora-medico che gestisce il tutto. Abbiamo pranzato a casa di Patrick, dove la mamma ci ha accolto in modo impeccabile.

Abbiamo visitato un monastero benedettino, creato da un ex saveriano, che, insieme ad un altro monaco, vive, prega e lavora da buon seguace di S. Benedetto, animando il quartiere dove è inserito. Abbiamo cenato con sr. Roberta, la sorella del PIME che gestisce l’ospedale per la lebbra, che ci ha preparato dell’ottima pizza, e che è davvero sorprendente per freschezza e allegria, anche se la fatica si sente e a volte pesa.

Infine siamo stati nella casa famiglia di Rudi, ex Papa Giovanni 23esimo, da vent’anni in Bangladesh, che ha continuato lo stile dell’accoglienza e ora vive in alcuni appartamenti vicini con una masnada di piccoli, spesso con problemi sanitari e sociali. Infine abbiamo avuto modo di approfondire la conoscenza con alcuni dei padri di Kulna, sempre disponibili e aperti al dialogo, come del resto qui a Dacca, e P. Giua’ ne è la testimonianza vivente.
Siamo partiti solo due settimane fa: per un verso il tempo è corso via in fretta, per l’altro sembra così lontana Parma e l’Italia,  come se fossimo lontani da tanto.

Che dire: fratelli, se avete due settimane di tempo e qualche spicciolo, venite in missione:

si incontrano persone davvero eccezionali, si sperimentano intuizioni e sogni, si contestualizza la nostra vita e i problemi riprendono la giusta prospettiva.

Ci vediamo in Italia!

  • Paolo e Giovanna.


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