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Anche gli occhi sono clandestini. Osservano i cammelli e le macchine che circolano senza targa. Inseguono le biciclette che affondano nella sabbia. Guardano le moto che passano col bambino più grande sul manubrio. Gli altri tre nel mezzo tra mamma e papà. Gli occhi scortano i paesaggi che hanno rubato nel cammino. Occhi erranti che prendono come ostaggi  le frontiere. Occhi di bambini imprestati di fresco che guidano i ciechi a mendicare. Occhi traditi dagli impostori della realtà. Occhi impolverati dal tempo e dal vento.

Noi siamo ciò che gli occhi hanno scelto di abitare. Anche gli occhi sono clandestini. A Niamey lo sono tutti e forse nessuno.

Quelli delle donne sono scoperti dal velo come quelli delle bimbe. I manifesti sparsi in città nascondono occhi inutili.  Sono gli stessi dappertutto e guardano senza vedere. Gli occhi dei commercianti ambulanti scrutano i passanti. I prezzi della frutta variano a seconda della stagione. Al  momento di pagare conta molto il vestito del cliente. Gli occhi della polizia municipale salutano gli autisti amici nell’ora di punta. Gli occhi dei politici sono stati espropriati dall’effimero. Quelli degli agenti umanitari sono truccati  dalle ideologie che li hanno fatti prosperare. Gli occhi che viaggiano sanno tornare.

Anche gli occhi sono clandestini. Arrivano di nascosto come un venerdì santo in un paese musulmano.

Zittiscono in fretta come le campane la mattina di pasqua. Per motivi di sicurezza si nascondono tra i cortili recintati delle chiese. Gli occhi dei padri sono senza lavoro. Quelli delle madri inventano qualcosa da mangiare per la sera. Gli occhi dei giovani se ne vanno altrove. Quelli dei contadini aspettano le pioggie per seminare. Gli occhi degli studenti hanno smesso di andare a scuola perché non c’è chi insegna. Quelli dei migranti indovinano la direzione da evitare.   Anche gli occhi sono clandestini. Vengono trafficati come merce di scambio sul mercato degli sguardi. In genere non hanno sbocchi commerciali. Neppure i cinesi sembrano interessarsi a loro. Passano del tutto inosservati quando fin quando non parlano lingue nuove. Sono incuriositi dal filo spinato che protegge i muri delle agenzie onusiane. Non osano avvicinarsi ai muri delle rappresentanze diplomatiche occidentali.

Evitano i cortei presidenziali che bloccano la circolazione dei carri tirati da asini. Gli occhi di Niamey fingono di non vedere gli ultimi turisti sbarcati per le vacanze. Sono innocenti come fidanzati prima delle nozze.  Anche gli occhi sono clandestini. Domandano qualcosa da mangiare per la sera. Cercano indizi per dirottare la vita. Dormono alla stazione dei pulman per qualche giorno. Hanno smarrito il biglietto e  sono stati derubati della borsa di viaggio. Occhi avventurieri che non si adattano alla banalità del quotidiano. Occhi erranti che non desiderano conservare tracce del loro passaggio. Occhi non ancora ingannati dagli orizzonti del mare. Domandano a chi non sa informazioni sul percorso. Scommettono tra loro sulla durata dell’esilio. I loro occhi barattano identità e fingono di non saperle. Ricominciano a cercarle ogni mattina dopo aver svegliato l’aurora.  Anche gli occhi sono clandestini. Indossano gli occhiali quando ne hanno l’opportunità. Non rimangono mai gli stessi. Si sforzano inutilmente di ordinare le immagini accatastate della memoria. Inciampano tra i ricordi e confondono le date e i luoghi. Gli occhi fanno silenzio quando nessuno li ascolta. Raccontano cose che solo i profeti saprebbero inventare. Gli occhi dei poveri sono evasi dal sepolcro dove la storia li aveva seppelliti. Solo alcune donne hanno potuto incontrarli prima di fuggire.

Nessuno le credeva perché c’era troppa polvere. Solo gli occhi che hanno pianto possono vedere.

  • MAURO ARMANINO.
  • Niamey, Pasqua 2014.


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