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Chemba, 9 febbraio 2014.

1. Giorni, gli uni accanto agli altri.

A metà dicembre è arrivata la prima. Desiderata, sperata, invocata, danzata, pregata. A volte temuta e maledetta. Ma pur sempre, in principio, attesa. La prima ha iniettato vita alla terra ormai moribonda della savana, convertitasi, da un giorno all’altro e senza opportunità di resistenza alcuna, alla potenza che esplode nel verde e nelle sue infinite gradazioni. La seconda ha fatto germinare la semente di mais e di miglio lanciata qualche settimana prima, dopo la fatica di giorni a zappare sotto un sole impietoso. Pioggia in Chisena si dice Mulungu. Mulungu è pioggia, ma è anche Dio. Non che la pioggia sia dio. No. Solo che pioggia e Dio si dicono con la stessa parola: Mulungu. Come si desidera, spera, invoca, danza, prega la pioggia, allo stesso modo si desidera, spera, invoca, danza, prega Dio. Qui, Dio si è stancato di stare nei cieli. Qui, Dio, piove. Giorni di pioggia battente a cui seguono giorni di sole verticale fin dalle prime ore del mattino. Giorni di cielo plumbeo  si alternano a giorni di cielo terso. L’uno accanto all’altro. La gente è felice, perché la fatica sarebbe vana senza Mulungu. Si augura l’acqua abbondante dello scorso anno e scongiura la siccità dei cinque anni che l’anno preceduta, quando decine di famiglie hanno abbandonato il distretto per causa della fame. Grande rispetto e somma reverenza per questa gente che saluta prima con il sorriso ampio della bocca e degli occhi, levando il cappello - l’uomo – piegando lievemente le ginocchia - la donna- stringendo poi la mano ruvida e callosa indurita dalla fatica del lavoro di ogni giorno. Gente che forse non sa leggere libri, ma che sa leggere il mondo. Sa leggere i segni della terra, del fiume, degli alberi, degli animali. Sa leggere il cielo, il vento, la luna e le nuvole quando preannunciano la pioggia. In questo universo di saperi altri, sono io l’analfabeta.

2. Cellulari e stregoni, gli uni accanto agli altri.

Il corso principale dello Zambesi dista circa due chilometri. Ma a lambire il villaggio c’è una lanca collegata al fiume da un passaggio che nei tempi di secca si attraversa a piedi. In questo angolo incantevole di mondo, dove la corrente è lieve e il fondale è basso, si va a prendere l’acqua e a pescare. Lì sono attraccate le canoe che accompagnano alle isole formate dai meandri del fiume. Sulle isole in molti vanno a coltivare i loro campi, essendo lì la terra più fertile e produttiva. La canoa – mwadiya in Chisena – non è quella in vetroresina lasciata sul Po, ma è un tronco di albero scavato, mentre il remo è corto e ha una sola pala. Chi conduce è uno e siede a poppa. Su una mwadiya, la prima volta ci vado con Estácio, che ha vent’anni ed ogni tanto aiuta lo zio pescatore. Il timore è per i coccodrilli che, comunque, non attaccano le canoe. Ma Estácio ha una ragione in più per tranquillizzare: «Se una persona non ha problemi con altre persone, non ha di che preoccuparsi». E aggiunge: «I coccodrilli e i cobra, sono mandati, hanno un padrone». In caso di un problema qualsiasi - malattia, furto, controversia o lite, sia livello famigliare che di villaggio - per risolvere la difficoltà e per dirimere la questione ci si rivolge generalmente allo n’ganga. Lo n’ganga ha il potere di curare la malattia, di identificare la persona che è colpevole del furto o che ha torto nella contesa. Si ricorre allo n’ganga prima ancora che all’infermiere del posto di salute, che al capo villaggio, che alla polizia o al prete. Può succedere che, dietro il pagamento di una lauta somma di denaro – o del corrispettivo in capre – lo n’ganga eserciti il suo potere di vendetta sulla persona che si presume colpevole. Il castigo è portato a termine da uno spirito malvagio (nzimu wakuipa). Così, chi compie un delitto si può giustificare del fatto che uno spirito è entrato in lui, egli non era cosciente e quindi non può essere responsabile. Oppure il castigo, che può annoverare la morte stessa, avviene attraverso uno spirito che entra in un cobra o in un coccodrillo per colpire la persona colpevole. In questo modo, il male è neutralizzato ed esorcizzato, mentre la colpa per la vendetta compiuta di fronte al male subito è deresponsabilizzata. Ma questa considerazione lasciamola a chi crede che reale sia solo ciò che è possibile. A noi basta quanto conclude il buon Estácio: «Se una persona non ha problemi con altre persone, cobra e coccodrilli non fanno nulla». Due compagnie di telefonia cellulare forniscono il loro servizio a Chemba. Una è mozambicana e funziona un giorni sì e uno no. L’altra è vietnamita, però almeno funziona tutti i giorni. Qualche settimana fa comincia a circolare una voce che terrorizza la popolazione: aprendo un messaggio promozionale della compagnia vietnamita succede che - nientemeno - si muore. Al mercato del villaggio, fonti più che attendibili testimoniano che nella vicina Chiramba - quarantacinque chilometri  a monte seguendo lo Zambesi - due persone sono già morte dopo l’apertura del funesto messaggio. Il panico è palese anche tra le nonne che vendono foglie di patate e fagioli e che da poco hanno cominciato a ricorrere alla tecnologia moderna per comunicare con figli e nipoti che vivono nei villaggi vicini. Una interpretazione plausibile accompagna immediatamente le tragiche notizie: gli spiriti malvagi, mandati dagli n’ganga, hanno cominciato ad impossessarsi non solo di persone, coccodrilli e cobra, ma anche dei messaggi del cellulare. Ovvio. Così cellulari e n’ganga, tecnologia moderna e credenze ataviche convivono pacificamente. Gli uni accanto agli altri, le une accanto alle altre.

3. Agro-business e zappa, l’uno accanto all’altra.

Chapo è un villaggio di poche capanne a quattro chilometri da Chemba. Una mattina la gente di Chapo si sveglia notando un cartello che non stava lì fino alla sera prima. Incuriosita dalla novità, chiama pai Emiliano, uno dei pochi che sa leggere e fare di conto, il quale proclama ad alta voce ciò che è scritto a grandi caratteri neri su sfondo bianco: «Zona indústrial - Reservado». La freccia indica la terra dall’altro lato della strada, dove da sempre le poche famiglie di Chapo coltivano i loro campi, fonte unica di sopravvivenza. Assieme a p. Dario cominciamo a conversare e a raccogliere informazioni a partire dalle famiglie che appartengono alla piccola comunità cristiana di Chapo, una delle settanta che compongono la nostra vasta parrocchia. Un giorno di dicembre mi toccano poi i cinquecento chilometri per andare a Beira a prendere p. Janvier che torna dalle ferie in Congo. Cinquecento chilometri tra foresta e savana, sorpassando  tir carichi di legname pregiato con destinazione ultima la Cina, zigzagando tra buche che sembrano crateri, passando per Gorongosa che tracima con già quattromila rifugiati per causa della guerriglia tra esercito e Renamo. Mi fermo una settimana a Dondo e colgo l’occasione per andare a reperire ulteriori ragguagli presso la Direzione Regionale dell’Agricoltura di Beira. Ai tempi della lotta per difendere Mandruze, avevo infatti conosciuto il tecnico che aveva compiuto lo studio di rilevamento-dati. Dopo una conversazione sfiancante che parte dalla moglie col raffreddore e prosegue con «l’imprescindibilità della chiesa cattolica nel compito irrinunciabile di educare le anime», riesco ad avere accesso a quello che sapevo di non avere il diritto di avere accesso, vale a dire la mappa delle concessioni autorizzate nel Distretto di Chemba. Una società di investimento a capitale partecipato che opera nel settore dell’agro-business - con sede legale in Gran Bretagna, imprenditori che lavorano in loco provenienti dall’Africa del Sud e che annovera tra i suoi soci il ramo dell’indiana Tata ai cui compete l’area dei bio-combustibili - cinque anni fa aveva ottenuto una concessione di un’area di dimensioni spropositate per produrre canna da zucchero tra Sena e Chemba, lungo il corso di dello Zambesi: 14.000 ettari. 14.000 ettari, vale a dire un’area pari ad un rettangolo che ha un lato di 20 km e l’altro di 7 km, della terra migliore e più fertile sottratta alla gente. Il progetto cominciava ad essere implementato due anni fa nel villaggio di Ntsoni, dove c’è un’altra delle nostre settanta comunità. Alla gente era stato promesso che le loro case non sarebbero state toccate. Così è stato fino ad ora. Di fatto, oggi, le capanne del villaggio rimangono isole in mezzo alle prime piantagione di canna da zucchero. Molte famiglie, rimaste senza terra, si sono viste costrette ad andare altrove, dove la qualità del suolo è peggiore. Inoltre, è stata rasa al suolo un’area della foresta che funge da cimitero, cosa piuttosto grave in una cultura dove il culto degli antepassati è un pilastro fondamentale della vita. Le proteste della gente erano state vane. P. Janvier aveva cercato anche l’appoggio della Commissione diocesana di Giustizia e Pace. Niente da fare: il capo-villaggio aveva già ricevuto la sua moto e i suoi sacchi di farina e le firme erano state apposte. Tutto questo già si sapeva. Ma accanto al progetto di Ntsoni, c’è ora il nuovo di Chemba che coinvolge anche il piccolo villaggio di Chapo, luogo candidato alla costruzione di una fabbrica per la prima lavorazione della canna. Gli investitori sono sostanzialmente gli stessi, solo cambia il nome del progetto che ora si chiama Ecofarm. Dalla mappa si osserva che fin ad ora sono state acquisite solo alcune piccole aree a macchia di leopardo - comunque le aree più fertili - dove la gente ha i suoi campi coltivati. La data di autorizzazione è del giugno 2012. Do una occhiata al sito internet. La nostra società a capitale partecipato produce zucchero di canna biologico e si vanta di collaborare con le cooperative in loco. Le cooperative sono tre e l’area in cui operano è di soli 400 ettari. Inoltre, il sito internet non dice come è stata elusa la Legge della Terra che fissa criteri molto ristrettivi e che obbliga ad almeno due consultazioni pubbliche. Ecco come è avvenuta l’unica consultazione: un giorno si presentano tecnici del Distretto e rappresentanti della multinazionale per spiegare il progetto. Viene fatto circolare un foglio che dicono sia per raccogliete le presenze. Lo stesso foglio, firmato dai presenti, viene poi utilizzato come documento di acconsentimento all’esproprio della terra. Per lavare la sua coscienza sporca e per aprire il ventaglio ad ulteriori investitori, una multinazionale che produce zucchero di canna per l’agro-business sottraendo 14.000 ettari di terra fertilissima alla popolazione autoctona, si mette la maschera riservando 400 ettari al “bio-etico” per essere socialmente più accettabile. Ma un dito non nasconde un mostro. Così, gli incontri e l’Eucaristia la domenica nei villaggi sono atto potente di vita che risorge, opportunità per dialogare con la gente, aprendo gli occhi sulla propria dei dignità e sui propri  diritti, a partire dal Vangelo e dalla Legge della Terra. Per impedire che quelle piccole aree a macchia di leopardo fino ad ora autorizzate prendano la forma del mostro di Ntsoni. Zappa contro agro-business, difesa della propria terra contro esproprio da parte del capitale straniero, giustizia contro prevaricazione. Gli accanto agli altri. Contro.

Conclusione: Accanto. O meglio, assieme.

Una notte che l’unica luce è quella di una lampada a pile e il silenzio è interrotto solo da Mulungu-pioggia che cade persistente e potente, prima di dire grazie a Mulungu-Dio di un altro giorno che chiude la porta, mi metto davanti al diario, prendo la penna e scrivo quanto segue.

Titolo: “Esercizio semiserio di memoria: sto imparando a...”
Svolgimento.

Sto imparando a balbettare una lingua bantu. A non prendere il caffè a metà mattina. A fare due passi danza tradizionale senza farmi prendere in giro. A fare uscire la jeep impiantata nel fango. A costruire una capanna. A seguire il ritmo del sole, andando a letto presto la sera e svegliandomi all’alba. Ad arrabbiarmi solo per le cose importanti, ad esempio un esproprio. A difendere un pezzo di terra. A salutare anche quelli della Frelimo. Quanto il denaro e il potere possano rendere disumani gli umani. Che i pantaloni lunghi e la camicia, possibilmente bianca, sono imprescindibili davanti alla elefantiaca e formalissima burocrazia mozambicana. Che l’unico posto per vedere come era la foresta prima che arrivassero i cinesi è il cimitero. Che la televisione mozambicana è più alienante di uno n’ganga. A giocare a calcio senza scarpe. A guidare una canoa che è un tronco di albero scavato. A non fare preoccupare mia madre e mio padre quando mi chiamano. Che noi siamo qui da quindici anni, ma Dio è qui da sempre. A dare il nome agli alberi, agli animali, ai pesci, agli insetti, oltre che, chiaramente, alle persone. A camminare accanto ad un popolo. O meglio, assieme ad un popolo.

Sì, credo sia proprio così. Sto imparando a camminare assieme ad un popolo. A farmi prendere per mano da un popolo.

ANDREA FACCHETTI.



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