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DOPO LE OTTO ESECUZIONI CAPITALI / CON IL CUORE PIENO DI TRISTEZZA

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È con il cuore pieno di tristezza che scrivo queste note, dopo la  fucilazione di 8 condannati a morte nelle prime ore di mercoledì scorso 29 aprile. Di per sé i condannati erano 10 (tutti condannati per droga; un indonesiano e 9 stranieri; una donna e 9 maschi), ma un francese sta ancora aspettando una risposta al suo appello e quindi la sua esecuzione è rimandata.

Mentre Mary Jane, una filippina di 30, è stata richiamata mentre era portata al luogo della esecuzione. Cosa era successo?

Il processo di Mary era stato frettoloso e irrispettoso dei suoi diritti. La sua versione e cioè che essa, mentre cercava lavoro all’estero, era stata inviata in Indonesia con una valigia datale da colei che l’aveva reclutata e che conteneva a sua insaputa circa 2,5 chili di droga, non era stata creduta e non era stata verificata a fondo.

Il processo avveniva ovviamente in indonesiano, ma uno studente universitario di lingue faceva da traduttore e le spiegava le cose in inglese che lei sa poco (conosce bene solo il tagalog). Le sue proteste e i suoi appelli in tribunale erano tutti stati vani. Senonché, il giorno stesso della esecuzione, la donna che l’aveva reclutata e suo marito, si sono presentati alla polizia di Manila ed hanno confessato il loro coinvolgimento nel caso di Mary. Forte di questo fatto nuovo, il presidente delle Filippine ha fatto pressione sul presidente dell’Indonesia il quale a questo punto ha dato l’ordine di sospendere l’esecuzione.

Ma il grave è ciò che questo caso rivela della giustizia, come è applicata in Indonesia.

Difatti, anche gli altri condannati a morte, hanno avuto dei processi poco regolari.

L’unico indonesiano condannato, un povero con la sola licenza elementare, che aveva ricevuto da un suo amico in deposito un pacco che poi era risultato contenente droga, in prima istanza era stato condannato a 18 anni di carcere (il suo amico invece a 20 anni). Ma sentendosi egli tranquillo per non aver fatto nulla, ha fatto appello contro la sentenza e lì lo hanno invece condannato a morte. Ha fatto ricorso contro questa sentenza presso la cassazione, ma la sua domanda è rimasta ferma per 10 anni in un tribunale e solo lo scorso aprile è stata presa in considerazione e poi rifiutata, pochi giorni prima della esecuzione. In tre altri casi il giudice ha offerto agli interessati la possibilità di una condanna più lieve se avessero pagato.

Un brasiliano invece, soffriva di schizofrenia e di “polar disorder” (che non so neanche cosa sia): non si era neanche reso conto che era stato condannato a morte, parlava col muro in cella, diceva che sarebbe tornato in Egitto (dove non era mai stato) e solo quando lo stavano portando al luogo della esecuzione ha chiesto al prete che l’accompagnava: ma che mi portano a fucilare?

Una persona così, che in qualunque paese del mondo sarebbe stata inviata in un ospedale, qui l’hanno messa in una bara.

È una grande delusione anche nei confronti del presidente, che ha dichiarato “guerra” contro la droga ed ha deciso di rompere la moratoria che aveva iniziato il suo predecessore. Penso che lo abbia fatto per populismo, dato che la grande maggioranza degli indonesiani è a favore della pena di morte. Ma è molto penoso: si pensa che ammazzando alcune persone accusate di distribuzione di droga, il suo consumo diminuirà.

  • FRANCESCO MARINI.
  • Giacarta, 3 maggio 2015.


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