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Verso il convegno di MO: “La pace come progetto”

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Come ogni progetto di vita, anche quello per la pace richiede uno sforzo creativo. Comporta una vera e propria rivoluzione antropologica.

Un progetto di costruzione delle condizioni della pace, che ha una nuova idea di sviluppo e pensa a un’umanità solidale, nella giustizia e nel rispetto delle identità.


In un “Dizionario di Politica”, alla voce pace si può leggere la seguente definizione: “Nella sua accezione più generale, pace significa assenza (o cessazione, soluzione, ecc.) di un conflitto”.

Sappiamo che tale concezione, pur rispecchiando ancora un senso comune diffuso, è ritenuta oramai da molti studiosi, e da una buona parte dell’opinione pubblica, insufficiente a definire una realtà positiva, che soddisfi pienamente l’esigenza di giustizia, di solidarietà, di diritti, di libertà come beni primari da riconoscere ad ogni essere umano come specie e come cittadino del mondo.

Nella sostanza, quest’idea di pace come assenza o fine di una guerra non ci dà ragione delle condizioni culturali, strutturali, politiche, sociali che hanno scatenato il conflitto bellico.

Non ci dice niente sulle sue cause, né sulle sue conseguenze. Certifica piuttosto l’ineluttabilità del fenomeno come evento ineliminabile dalla storia. Perché, in questo caso specifico, non ci si riferisce ad un conflitto qualsiasi, di per se positivo in quanto espressione contraddittoria dell’evolversi dell’umanità come insieme di diversità, ma ad uno ben specifico: quello bellico. Ed è proprio questo tipo di conflitto che possiede delle caratteristiche tutte particolari: semplifica ciò che nella realtà delle cose è dato come complesso, ma soprattutto rappresenta una soluzione che nei fatti rende irreversibili gli effetti della sua opera: distruzione, morte ed odio.

I movimenti sociali, religiosi, di pensiero che si sono espressi in questi ultimi anni, dopo un lungo periodo di incubazione, o per lo meno di scarsa visibilità, hanno gettato le basi per un ben diverso paradigma: mentre la guerra sembra ripetersi nelle sue forme tradizionali, cambiando solo il segno esponenziale del livello di distruttività e ferocia che provoca, la riflessione e le esperienze di soluzioni nonviolente dei conflitti, tali da evitare la degenerazione degli stessi in un atto di guerra, hanno fatto molti passi in avanti, anche se i grandi mezzi di informazione, così come le stesse istituzioni politiche o sociali, in nome di un cinico realismo, fanno di tutto per ridicolizzarle o screditarle.

Da questo nuovo pensiero in itinere, così come da molte delle esperienze che sono state portare avanti negli ultimi decenni, si è arrivati ad una prima importante conclusione: che la pace non è un atto notarile, burocratico; è piuttosto un processo senza fine. Non è la presa d’atto della fine di un conflitto militare: è un progetto di costruzione delle condizioni che alla fine rendano impossibile il conflitto militare, proprio perché inutile e dannoso.

Il movimento della pace che in queste settimane, forse per la prima volta nella storia, attraversa città, paesi, contrade, dall’Asia alle Americhe, dall’Europa all’Africa, è come un fiume dopo una lunga stagione secca: allegramente fragoroso e impetuoso, raccoglie nel suo letto la forza di saperi ed esperienze che la resistenza creativa dei popoli ha conservato rinnovandoli profondamente.

Ciò che emerge con particolare evidenza, è soprattutto l’idea che la lotta per la pace non è solo la negazione morale di un evento criminale, ma qualcosa di più e di altro.  Si alimenta di una visione, di un’idea del futuro: non solo lo sa immaginare, ma addirittura lo prefigura nell’oggi, nell’agire quotidiano di ogni uomo e donna che condividono questa matura passione civile.

Si tratta di un faticoso lavoro educativo che rifonda categorie del pensiero, valori, comportamenti, atteggiamenti mentali: una vera e propria rivoluzione antropologica, che contrasta e sconfigge il mito e l’idea della guerra come strumento necessario alla soluzione delle crisi che attraversano il mondo.

Come qualsiasi progetto di vita, anche quello per la pace deve richiedere uno sforzo creativo, un diverso sviluppo delle nostre principali facoltà: la ragione, la coscienza, la creatività, la sensibilità. Risveglia in ognuno un nuovo senso di responsabilità basato sull’autonomia, l’integrazione, la cooperazione, opponendosi quindi alla competizione aggressiva (individuale e collettiva, tra i singoli ed i popoli), alle gerarchie arbitrariamente imposte da poteri non democratici, alla predominanza di un’élite economica, politica e militare sulla maggioranza dell’umanità. Ha una nuova idea di sviluppo, come crescita equilibrata di una ricca individualità personale ma anche di una forte corresponsabilità sociale. Propone ad ognuno una semplicità consapevole nell’abitare il tempo della vita, per rispettare l’ambiente esterno, ma anche quello interiore.

Pensa ad un’umanità solidale, nel rispetto di identità, che solo il confronto e il  rispetto reciproco possono far evolvere verso forme più mature. Rivendica uguali diritti per ognuno degli esseri umani, ma anche la consapevolezza di un destino planetario comune. Dove tutti non sono una massa indistinta, ma volti, storie, pene ed allegrie.

Il progetto umano che stiamo costruendo, rivendica allora una pace non inerme, per l’appunto come assenza di qualcosa; non semplicemente esortativa (“vogliamo la pace”) o consolatoria (“la pace, purchessia”), ma una pace di tipo nuovo, capace di conoscere e guidare un cambiamento che sappia parlare le parole di una giustizia per l’ottanta per cento degli abitanti del pianeta (riconoscimento di universali diritti inalienabli), di una libertà non come semplice esercizio formale del consenso, ma espressione delle capacità di piena ed integrale autorealizzazione individuale e collettiva. Infine, di una fraternità come riconoscimento di appartenenza allo stesso genere umano ed allo stesso destino.

Ma per poter realizzare tutto questo, chiede ad ognuno di noi un ultimo sforzo: quello di saper sognare.



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