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Regia: Xavier Beauvois Francia 2010 - 120min. - Lucky Red Distribuzione - Grand Prix e Premio della Giuria Ecumenica al Festival di Cannes 2010.

La storia

Nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996 a Tibhirine, in Algeria, sette monaci trappisti del convento di NotreDame-de-l’Atlas, sono rapiti; le loro teste saranno ritrovate il 30 maggio. Liberamente ispirato a quell’episodio, il film accompagna la vita dei sette monaci all’interno del convento, nel loro rapporto con la gente del vicino villaggio e nel loro tormentato percorso verso la decisione di restare accanto ai loro fratelli musulmani, nonostante le minacce dei terroristi e gli inviti pressanti delle autorità militari e religiose.

Il film

Sono nove i monaci presenti in convento la notte del rapimento: frère Christian de Chergé, priore della comunità (interpretato da Lambert Wilson, sopra nella foto di sinistra), frèreLuc Dochier (interpretato da Michael Lonsdale, sopra nella foto di destra), frère Christophe Lebreton, frère Bruno Lemarchand, frère Michel Fleury, frère Cèlestin Ringeard, frère Paul Favre-Miville saranno portati via. Frère Jean-Pierre e frère Amédée si salveranno perché non trovati dai terroristi nelle loro celle.

Nove uomini, nove personalità, nove paure, nove decisioni, che seguiamo mentre pregano, mentre protestano il silenzio di Dio, mentre si confrontano, mentre lavorano, mentre meditano, mangiano, temono, aspettano, si ascoltano l’un l’altro e stanno in mezzo ai loro fratelli musulmani. Nelle prime sequenze la giornata dei monaci c’è lo stesso ritmo e sguardo rispettoso de Il grande silenzio, il bel film di Philip Grö- ning che ci ha raccontato un anno della comunità trappista de La Grande Chartreuse in Francia.

Man mano che il racconto passa dalla serenità alla preoccupazione per il pericolo incombente, è la preghiera ad illuminare di senso l’accaduto e ad essere traccia al veniente, rivelandosi così in relazione stretta con la vita e sostegno essenziale di quegli uomini. L’alternanza tra preghiera-vita, comunità-singolo, convento-mondo non è in chiave di opposizione ma di diversità che si arricchiscono e si donano senso. Frequenti i momenti d’incontro, scambio, preghiera comune e festa tra i monaci e i vicini musulmani a sottolineare identità capaci di confronto senza paura di perdersi.

Fratelli di un solo Padre, come ricorda frère Christian nel suo testamento spirituale: “(alla mia morte) sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità. Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze” (Frère Christian de Chergé e gli altri monaci di Tibhirine, Più forti dell’odio, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose 2010, p. 230).

Nel costruire la decisione di restare è decisivo, oltre alla preghiera, lo scambio di vita e parole con gli abitanti del villaggio; di fronte alla frase del monaco che ipotizza una motivazione alla loro partenza: “Siamo uccelli su di un ramo e non sappiamo dove andremo”, una donna replica: “Siamo noi gli uccelli, voi siete il ramo”. Ed è in quella metafora chiaramente esplicitato il senso missionario dell’essere monaci in terra musulmana.

La sequenza finale è come una Via Crucis: nella nebbia e nella neve, i monaci prigionieri in fila salgono scortati dai rapitori: ne vediamo i volti e la fatica.

Poi si allontanano e sempre più si confondono gli uni con gli altri… “E anche per te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo ad-Dio da te previsto.

E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen! Išnhallah” (op. cit., p. 231).



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