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UNA MISSIONE POVERA, MA CAPACE DI ARRICCHIRE MOLTI

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L’estate scorsa ho potuto visitare, per la prima volta in vita mia, la Turchia. Per via di qualche contrattempo alla vigilia della partenza, vi sono arrivato con un giorno di ritardo, il che mi ha fatto perdere la tappa di Efeso e della “provincia d’Asia”, che ho potuto solo attraversare in auto. Ma mentre andavamo verso le regioni centrali della Turchia, guardando il paesaggio, non potevo non pensare all’apostolo Paolo, alla sua presenza in quelle zone, alle difficoltà provvidenziali (opera dello Spirito, secondo At 16,6-8) incontrate nel corso del secondo viaggio, finché si diresse a Troade, per passare poi in Macedonia, incominciando così l’evangelizzazione dell’Europa; e poi ancora, nel viaggio successivo, l’attraversamento dell’altipiano per raggiungere Efeso (cfr. At 19,1).

La condizioni evidentemente molto artigianali, quanto a mezzi, possibilità di spostamenti e tempi richiesti, della missione cristiana in quei primi decenni del cristianesimo non hanno impedito che l’Asia Minore diventasse una delle regioni più significative e vivaci della Chiesa antica.

Vengo da studi di patristica: col procedere del viaggio, era inevitabile, per me, ripensare alla straordinaria fioritura delle Chiese che hanno visto la celebrazione dei grandi concili della Chiesa indivisa, ai nomi di Nicea, Calcedonia, Efeso… e naturalmente Costantinopoli; per non dire poi di Antiochia (che, peraltro, non abbiamo visitato), della Cappadocia con le sue affascinanti chiese rupestri, testimonianza della sua ricca tradizione monastica, delle figure gloriose di Basilio, dei due Gregori (di Nazianzo e di Nissa) e del loro amico Anfilochio, vescovo di Iconio...

Già, Iconio: dove Paolo predicò e rimase anche per un certo tempo, secondo At 14,1 ss. Oggi nella moderna città di Konya (un milione abbondante di abitanti), due religiose, provenienti da Trento, custodiscono la chiesa di san Paolo, unico retaggio, credo, della presenza cristiana risalente all’apostolo delle genti. A Cesarea, la città di san Basilio – oggi Kayseri, anche qui più di un milione di abitanti – ogni traccia di presenza cristiana è praticamente scomparsa.

Ripercorrere quelle terre, quei luoghi, ritrovare nelle guide e qualche volta nelle segnaletiche stradali gli antichi nomi biblici e della storia della Chiesa antica – Colosse e Laodicea, Smirne e le altre Chiese dell’Apocalisse, Mileto, Derbe e Listra, Antiochia di Pisidia, la stessa Tarso... – fa pensare e mette un po’ di malinconia.

Quale attività missionaria ha potuto “produrre” una fioritura così straordinaria? Quale desiderio di testimoniare la novità di Cristo, la forza liberante del Vangelo? E, naturalmente, la domanda più impegnativa: perché è tutto scomparso, o quasi?

Il pensiero va con riconoscenza a quei pochi cristiani (lo 0,2 per cento della popolazione, dicono le statistiche) che, in mezzo a mille difficoltà, rappresentano oggi la continuazione di quella storia gloriosa. Il patriarca ecumenico Bartolomeo ci ha ricevuto con grande amabilità nella sede del patriarcato, al Fanar, il 2 settembre; ci ha ricordato che appunto la Chiesa, nelle mutate condizioni, continua nel suo compito di annunziare a tutti la salvezza in Cristo, ma sottolineando anche che questi sono gli anni “del dialogo, dell’incontro, della testimonianza comune, che vedono le nostre Chiese impegnate sui grandi temi, che affliggono l’umanità e la nostra casa comune”.

In modo particolare, dal momento che proprio il giorno prima – inizio dell’anno liturgico secondo il calendario ortodosso – si era celebrata la giornata di preghiera per la Salvaguardia dell’ambiente naturale, istituita dal patriarca Demetrio nel 1989, nelle parole che ci ha rivolto Bartolomeo ha voluto ribadire il senso propriamente teologico di questo giorno, “estensione della divina eucaristia in tutte le dimensioni della sua relazione col mondo”.

Lasciando il Fanar, lasciando la Turchia, mi sono detto che forse, oggi più che mai, la missione assomiglia a ciò che Paolo sperimentò a Listra, quando fu preso a sassate e, creduto morto, gettato fuori della città; ma “gli si fecero attorno i discepoli ed egli si alzò ed entrò in città” (At 14,19-20); e ricominciò il suo apostolato. Non so se Paolo pensava a questo episodio, quando scrisse ai Corinzi: “[siamo] come moribondi, e invece viviamo; come puniti, ma non uccisi; come afflitti, ma sempre lieti; come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!” (2Cor 6,9-10). Sì, la missione si rialza in piedi e ricomincia, sempre: e proprio quando ha l’impressione di non avere nulla, scopre di possedere tutto.



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