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TUTTI RAGAZZI, NESSUN RAGAZZO! DI QUALI ADULTI HANNO BISOGNO I RAGAZZI OGGI

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Crema, la pacifica e bella cittadina dove vivo, adagiata quasi al centro della pianura lombarda, è salita alla ribalta mediatica nel marzo scorso, quando una scolaresca di una cinquantina di ragazzi, con due insegnanti di educazione fisica e una collaboratrice scolastica, è stata rapita, portata fino alle porte di Milano e poi rocambolescamente liberata da un intervento altamente professionale delle forze dell’ordine, poco prima che il rapitore, l’autista dell’autobus, gli desse fuoco. Nessuna vittima, nessun ferito grave, e il dramma di cinquanta ragazzini spaventati, “disarmati” dell’unico strumento che avrebbero potuto usare per difendersi – il cellulare –, con le mani legate, mentre a scuola non si sapeva più dove fossero finiti (l’autobus doveva riportarli dalla palestra alla scuola, un viaggio di un paio di chilometri…) e scattava l’allarme.

Poi abbiamo conosciuto i dettagli: il comportamento di ragazzi e accompagnatori, il modo rocambolesco in cui alcuni si sono tenuti il cellulare e hanno lanciato l’allarme, la consapevolezza che era in gioco la vita di tutti e che era impensabile l’idea di salvarsi solo in alcuni, il coraggio di chi è andato a parlamentare con l’autista, la preghiera e il “Dio ti amo!” liberatorio di uno dei ragazzi, mentre fuggiva dall’autobus che stava prendendo fuoco...

Ragazzi e adulti si sono meritati la fama che li ha circondati nei mesi successivi, e che si è trasformata anche in un’esposizione mediatica forse inopportuna per la loro tranquillità, e per la necessità di ritrovare le condizioni “normali” della loro vita. Scrivendo a inizio estate, mi auguro che le vacanze siano, per questi ragazzi e ragazze, l’occasione per rientrare nell’ordinarietà della vita, dove potrà sicuramente maturare anche ciò che di positivo la vicenda ha insegnato a loro, e non solo a loro.

Per quanto mi riguarda, vorrei sottolineare due cose. Tutti ormai sanno che tra i ragazzi che si sono particolarmente distinti nella vicenda due – Ramy e Adam, entrambi di famiglia egiziana – non erano cittadini italiani. Nei mesi scorsi è stato sollevato un gran polverone a proposito dell’opportunità o meno di concedere loro la cittadinanza italiana – cittadinanza che, ormai, dovrebbe essere in dirittura d’arrivo. Il polverone ha però nascosto un punto decisivo: Ramy e Adam non erano gli unici ragazzi “stranieri”, nelle due classi della Scuola Media “Vailati” coinvolte nella vicenda; ma tutti, italiani o stranieri, si sono sentiti partecipi della stessa vicenda, dello stesso destino, delle stesse paure e della stessa salvezza. Tutti “cittadini” nei fatti, perché la cittadinanza, per loro, non è un “premio”, ma una condizione vissuta – e personalmente ritengo scandaloso che la questione della cittadinanza sia stata spostata, dal piano dei diritti, a quello dei “premi”. Nella scuola, e non solo, la cittadinanza si costruisce in altro modo, nel paziente lavoro quotidiano che plasma anche la solidarietà mostrata dai ragazzi della scuola “Vailati”. Non c’è proprio bisogno di “eroicizzare” dei ragazzi in gamba, per chiudere gli occhi davanti al fatto che una nuova “cittadinanza” è già in atto, anche con i suoi limiti, ma con grandissime potenzialità.

Seconda riflessione. L’8 giugno scorso, nella “Sala degli Ostaggi” del Comune di Crema, in occasione della festa patronale di san Pantaleone, i ragazzi della “Vailati”, gli adulti che li accompagnavano e le forze dell’ordine hanno ricevuto le benemerenze assegnate dal Comune. A mano a mano che i ragazzi venivano chiamati per nome e ritiravano la loro medaglia, scattavano gli applausi. Mi ha colpito, e commosso, vedere che gli applausi più forti e convinti sono stati quelli che gli stessi ragazzi (alzatisi in piedi) hanno tributato ai loro professori e alla collaboratrice scolastica – la “bidella” – che erano con loro sull’autobus, e ai rappresentanti delle forze dell’ordine: carabinieri, polizia stradale ecc.

Questi ragazzi hanno fatto l’esperienza (non frequente) di trovarsi davanti a degli adulti “credibili”: credibili non perché hanno fatto cose straordinarie, ma perché hanno fatto “il loro mestiere” – il loro dovere, come mi ha detto il comandante dei Carabinieri quando mi sono complimentato con lui.

I ragazzi sanno riconoscere adulti così: e poche cose, a mio parere, li aiutano a crescere più che il trovarsi davanti adulti di questo genere. Non hanno bisogno di adulti che giocano a fare gli adolescenti, ma di adulti che, né più né meno, arrivino anche a rischiare la pelle per loro. E c’è modo di farlo anche nella vita quotidiana, senza bisogno di vicende come quella che hanno vissuto e che, c’è da augurarselo, né loro né nessun altro dovrà più rivivere.



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