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Sapienza, Missione come Dialogo Profetico nella Diaspora

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L’impresa militare di Alessandro Magno lasciò un’eredità che per secoli determinò la geografia politica e culturale del Mediterraneo: egli infatti fondò nuove città che costituirono i punti di riferimento politico, culturale e religioso per diversi secoli. Tra queste, grande rilievo ebbe Alessandria d’Egitto che, dopo l’improvvisa morte di Alessandro, fu scelta come capitale da Tolomeo I Soter, fondatore della dinastia che per tre secoli governò l’Egitto. Alessandria andò sempre più consolidandosi come capitale culturale del mondo civilizzato: il Museo e la Biblioteca, celebri nel mondo intero, manifestavano l’ambizione di Tolomeo I Soter e del figlio Tolomeo Filadelfo di rendere Alessandria il cuore dell’ellenismo.


EBREI NELLA DIASPORA EGIZIANA

Tra i primi abitanti di Alessandria d’Egitto le fonti antiche annoverano numerosi ebrei, attratti dalle opportunità economiche e sociali che essa offriva. La cultura ellenistica ebbe grande impatto su questi immigrati, che presto abbandonarono la propria lingua anche nell’ambito del culto, come dimostra la traduzione delle Scritture in greco. Distanti dal tempio, inseriti in un contesto multietnico, gli ebrei alessandrini furono stimolati a un confronto e a un dibattito, per preservare la propria identità religiosa e culturale, oltre che per far valere i propri diritti dentro la compagine civica.

Il rapporto con le altre componenti della società alessandrina non fu, però, sempre facile: l’oligarchia greca considerava gli ebrei un elemento distinto, mentre la popolazione nativa egiziana non era affatto apprezzata dagli ebrei. Sotto i discendenti di Tolomeo gli ebrei godevano di uno statuto civile che garantiva loro alcuni diritti che, sotto vari punti di vista, li avvicinavano all’oligarchia greca; tale stato di cose ebbe, però, un deciso mutamento con il controllo diretto del paese da parte di Roma, dopo che Ottaviano sconfisse Antonio ad Azio nel 31 a.C. Si aprì per gli ebrei alessandrini un periodo in cui dovettero lottare per i loro diritti civili.

APERTI AL DIALOGO CON TUTTI

A questo periodo risale il Libro della Sapienza, composto con molta probabilità nei primi anni dell’occupazione romana. Il libro fu scritto direttamente in greco, da un ebreo fornito di buona conoscenza della cultura ellenistica, come testimoniano vari rimandi al pensiero platonico e specialmente a quello stoico; l’autore non condivide la concezione e le implicazioni religiose di queste correnti, ma ne risente l’influsso a livello di vocabolario e di concetti. In contrapposizione a un sapere chiuso e discriminante – propugnato da talune scuole filosofico-religiose greche o da alcuni gruppi ebraici – l’autore, identificandosi con il re Salomone, propone un insegnamento aperto al dialogo e rivolto a ogni essere umano;

Salomone appare qui come un filosofo e uno scienziato dotato di tutte le conoscenze teoriche e pratiche allora coltivate negli ambienti greci (cfr. Sap 7,17-20).

NELLA FEDELTÀ ALLA PROPRIA TRADIZIONE

L’identità dell’autore di Sapienza ci sfugge. Si tratta di un ebreo profondamente religioso, aperto alla cultura greca, ma soprattutto animato dall’intento di proporre ai suoi correligionari la tradizione dei padri. Destinatari del libro sono in primo luogo i suoi correligionari ebrei, specialmente quelli che costituivano l’importante comunità alessandrina. L’autore sembra rivolgersi pure al mondo pagano, specie a quegli ambienti più sensibili alla problematica religiosa, sia per illustrare il contenuto autentico della fede ebraica, contro i numerosi pregiudizi e opposizioni dell’epoca, sia per proporla come scelta di vita.

L’influsso della cultura greca non rappresenta il carattere primario del libro, determinato invece dalla tradizione biblica di cui l’autore è profondamente imbevuto: sulle Scritture egli fonda le sue riflessioni, rivelando una conoscenza e una padronanza non comuni del dato biblico.

Il libro si divide sostanzialmente in tre parti.

1. La prima (Sap 1,1- 6,21) contiene un discorso sulla rettitudine e sulla malvagità rivolto ai “governanti della terra” (1,1), che sono incoraggiati a conseguire giustizia, ammonendo al contempo coloro che avversano tali principi e la cui condotta genera solo distruzione e morte. Mentre al giusto è promessa la vittoria finale e l’immortalità tra gli angeli del cielo, per i malvagi si prospetta un terribile giudizio.

2. La seconda parte (Sap 6,22-9,18) s’incentra sulla figura della sapienza: ora Salomone esorta i potenti della terra ad acquisire la sapienza.

3. Infine la terza parte (Sap 10-19) contiene quello che si può definire un midrash (cioè una lettura dei testi biblici accompagnata da commento e spiegazione) sulle attività di Dio nella storia, che mette in risalto soprattutto l’agire della sapienza: la vicenda d’Israele, da Adamo fino alla conquista della terra promessa, è passata in rassegna, con un lungo intermezzo che critica le religioni pagane (cc. 13-15), in particolare quella egiziana. Particolare risalto hanno gli eventi narrati nel libro dell’Esodo.

CON ACCENTUAZIONI INNOVATIVE

In un contesto che vede l’ebreo in situazione di diaspora (come bene illustra la terza parte di Sapienza), confrontato con un regime imperiale che, pur garantendo alcuni diritti fondamentali, nello stesso tempo non conferisce all’ebreo la piena cittadinanza; a fronte di una congerie di manifestazioni religiose che propongono anche riti e socializzazioni attraenti; a confronto con prospettive filosofiche che offrono risposte a tante domande che anche i testi sacri dell’ebraismo affrontano, ma a partire da diversi presupposti, il saggio ebreo fa tesoro della sua grande tradizione, quella legata alla sapienza, che ha radici assai lontane nel Vicino Oriente antico.

Lo sfondo decisivo è appunto la sapienza quale è preservata nelle Scritture degli Ebrei, ma una sapienza che ora accoglie anche sollecitazioni da quella corrente che sempre più prende piede tra i devoti ebrei, cioè l’apocalittica. Inoltre, dovendo scrivere in una lingua che non è più quella nativa, il saggio, identificandosi con Salomone, utilizza il vocabolario e le tecniche argomentative della cultura nella quale è innestato e che, forse proprio per tali presupposti, si presenta allettante a molti suoi correligionari.

CAPACI DI AGGIORNAMENTO E ATTUALIZZAZIONE

Questa scelta consente all’autore di Sapienza di esporre la propria tradizione culturale con accentuazioni innovative per quanto riguarda l’escatologia (prima parte), la personificazione della sapienza (seconda parte), la rilettura delle tradizioni del Pentateuco (terza parte). In tal modo il Libro della Sapienza attesta la capacità della tradizione ebraica di esprimere di nuovo se stessa entro un contesto socio-culturale mutato, pur mantenendosi fedele ai suoi presupposti, così da poter attuare un processo di aggiornamento e di attualizzazione; la possibilità di preservare un messaggio e soprattutto la sua rilevanza consiste, infatti, nella potenzialità dello stesso di rendersi intelligibile e significativo nei diversi ambiti e nonostante i mutamenti storico-culturali sopravvenuti.

L’operazione intrapresa dal giudaismo alessandrino non era per nulla semplice dato che si trovava a subire critiche a partire da due fronti ben definiti: da un lato una concezione tradizionale del giudaismo, che rifiutava qualsiasi dialogo con la cultura egemone, vedendo in essa una minaccia costante alla persistenza della propria identità culturale e religiosa, e dall’altro (cfr. Sap 2), l’attacco da parte di coloro che, soprattutto allo scopo di accedere a un diverso statussociale entro la polis, ritenevano ci si dovesse sgravare del fardello che la tradizione imponeva all’ebreo.

TRA GHETTIZZAZIONE E INTEGRAZIONE NELLA POLIS

Il libro della Sapienza non intese, però, semplicemente riverniciare il proprio patrimonio culturale e religioso, ma proporne una riformulazione, che pur accogliendo aspetti della cultura con cui si confrontava, preservasse il confine tra i diversi sistemi religiosi. Questo al fine di abilitare i giovani ebrei alessandrini di strumenti concettuali e dialettici che consentissero loro sia di guidare con rettitudine – perciò conformemente alla legge – la loro comunità sia di non renderla un ghetto, bensì una componente attiva e propositiva entro l’organizzazione della polis.



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