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Salmo 104: La missione come "Cantico delle Creature"

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Nelle professioni di fede cristiane si colloca abitualmente all’inizio il riferimento a Dio creatore, in linea con la presentazione che dello stesso fa la Bibbia, la quale si apre con l’impressionante descrizione dell’efficacia della parola divina, che illumina, modella e dona esistenza a tutto ciò che sta sotto il nostro sguardo.

Il racconto della Genesi non è, però, l’unica pagina su questo tema e, sebbene solenne, neppure la più suggestiva: il creato non è, infatti, nella Bibbia soltanto oggetto di riflessione intellettuale o di analisi scientifica; esso è, in molte pagine, il punto di partenza per la lode di Dio, sia perché si ammira la potenza e la sapienza di Dio nel disporre gli elementi dell’universo, sia perché – come è il caso di tanti episodi della storia d’Israele – Dio si serve delle realtà create quali strumenti per salvare chi lo invoca (si pensi al mare nell’esodo dall’Egitto).


DALLA LUCE ALLA SORGENTE DI OGNI LUCE

Tra i testi che osservano con sguardo ammirato il creato spicca il Sal 104. Si tratta di un inno, che segue passo passo la descrizione di Gen 1, ma è pure influenzato da una ricca tradizione innica che risale all’Egitto e alla Siria antica. Due significative esclamazioni dividono la composizione: il v. 1b (“Signore, mio Dio, sei molto grande!”) e il 24 (“Quanto sono numerose le tue opere, Signore!”).

Il Salmo si apre con un’esortazione alla lode e prosegue con una splendida immagine (v. 1: “Sei rivestito di maestà e di splendore, avvolto di luce come di un manto”), dove si nota il parallelismo tra vestire//mantello e splendoremaestà//luce. L’immagine è estremamente bella: ad essa soggiace il simbolismo solare/lunare e riprende immagini che anche altre religioni antiche applicavano al divino. Nella Bibbia vi è poi un costante legame tra luce e manifestazioni divine: in effetti, la grandezza divina si manifesta anzitutto nella creazione della luce, il primo elemento creato (Gen 1,3). Anche qui, come in Gen 1, il primo riferimento al Creatore si concentra sulla luce (questa stessa immagine sarà collegata, dai profeti e poi dai cristiani, alla salvezza; i sapienti, invece, vedranno nella luce l’immagine più evidente della sapienza donata dall’alto).

Nel salmo gli attributi degli astri – che molti popoli antichi consideravano divinità – sono ormai trasferiti sull’unico Dio: lo splendore luminoso non è lo specifico dell’astro, piuttosto quello dell’astro è soltanto il riflesso o il simbolo dello splendore divino.

È come se il sole con la sua luce accecante ci rimandasse a Colui che è sorgente di ogni luce e di ogni vita” (M. Dahood).

LA TENDA DEI BEDUINI COME PLANETARIO

Nei vv. 2b-4 si descrivono il palazzo e la corte celesti. Il cielo è visto in primo luogo come ambito del dominio del Signore: da qui egli crea e regna. Il cielo è descritto come una tenda di beduini, tesa sui pali che la sorreggono. Dio è tratteggiato come un re attorniato dalla sua corte e dal suo apparato (messaggeri e cocchio).

Segue poi la prima azione architettonica divina: la fondazione della piattaforma terrestre su colonne immense gettate sull’abisso (v. 5: “Egli fondò la terra sulle sue basi: non potrà mai vacillare”; cfr. Gb 38,4-6). Nei versetti che seguono (6-9) sembra di assistere a una lotta tra il Creatore e l’oceano: si riprende forse un motivo mitico che vede nell’oceano il simbolo del caos primordiale che si oppone all’opera creatrice. Scopo della lotta è la fissazione della terra e la delimitazione dell’ambito cosmico spettante alle acque in alto e in basso: di fronte al potente ruggito (tuono) del Signore le acque si lanciano in una fuga precipitosa (vv. 8-9).

L’ESSERE UMANO AL CENTRO DELLA SCENA

I vv. 10-18 sono accomunati dal tema del nutrimento (cibo e acqua): non si parla più dell’acqua primordiale, ma di quella che permette all’essere umano e a ogni essere vivente di vivere sulla terra. Possiamo individuare una triplice divisione.

La prima si riferisce ai vv. 10-12: l’acqua che esce dal suolo. Due categorie di animali: bestie selvatiche e uccelli.

La seconda ai vv. 13-15: la prospettiva è centrata sull’essere umano. L’acqua viene dal cielo (il riferimento è al contesto palestinese, privo di fiumi). Anche gli animali dicono riferimento all’uomo (e così pure la vegetazione). L’essere umano è al centro della scena: egli con il suo lavoro estrae dalla terra i prodotti fondamentali, simbolo dei molteplici doni che la terra offre (vino - olio - pane, che non sono puri prodotti del suolo, ma manifestano già la risposta attiva della persona ai doni che la terra produce per volere del Creatore).

La terza ai vv. 16-17: sono in continuità con i precedenti. Ora si parla del nutrimento di altri animali. Il v. 18 sembra di transizione; il richiamo ai monti potrebbe essere poeticamente un’inclusione, ma la ripresa di due categorie di animali selvatici è forse espressione della volontà di completare il quadro descrittivo iniziato nei vv. 13-15. Si accenna a due animali poco noti: Dio ha cura di tutte le creature, anche di quelle esterne all’habitat umano.

IL TEMPO ORDINATO DA DIO

Nei vv. 19-23 Dio struttura il tempo. Ogni fase del tempo è destinata a creature particolari (un motivo già presente in un inno egiziano dedicato al disco solare, l’Aton). Il tempo è ordinato da Dio e l’inizio della strofa con “hai fatto” intende proprio sottolineare questo, oltre che esprimere la volontà di demitizzare: gli astri sono creature, non divinità. “Stendi le tenebre e viene la notte: in essa si aggirano tutte le bestie della foresta; ruggiscono i giovani leoni in cerca di preda e chiedono a Dio il loro cibo” (vv. 20-21).

Anche di notte Dio preserva la vita e provvede il sostentamento alle sue creature: Dio non dorme. Nel v. 24 si assiste a un passaggio: dall’ordine dato agli elementi cosmici (vv. 1-9), dall’ordine impresso agli esseri viventi (vv. 10-18), dall’ordine stabilito nel tempo (vv. 19-23) si passa all’interpretazione di ciò che è stato fatto. Tutto è fatto da Dio “con sapienza” (cfr. Pr 3,19-20).

Nel mondo creato nulla è lasciato al caso, nulla è fuori posto, nulla è gratuito o superfluo. Lo sguardo del credente sa leggere l’armonia che connette tutte le creature di Dio e le rende inno cosmico di lode al creatore.

DIO GIOCA CON IL COSMO

Persino il mare, la forza che nelle antiche mitologie palestinesi rappresentava l’oppositore più forte del Dio supremo è ora soggetta al potere del Creatore (vv. 25-26). Il mare non è più perciò un principio del caos, ma un elemento del cosmo ormai strutturato. Osserviamo che ora anche l’essere umano ha accesso al mare (le navi); inoltre ciò che fa paura agli umani (il leviatan, il mostro marino) non è che un trastullo per Dio, che lo plasma per “giocare con lui”. Nei vv. 27-30 il tema è la vita, che è garantita dal cibo (vv. 27-28) e dal soffio/spirito (vv. 29-30).

Tutto il mondo animale è dipinto nell’atteggiamento dell’orante che leva la sua supplica a Dio (Ravasi). Il soffio/spirito: la vita non dipende solo dal cibo, perché morte e vita dipendono dalla benevolenza divina (“Nascondi il tuo volto: li assale il terrore... Mandi il tuo spirito, sono creati”).

IL CREATO RIFLETTE LO SPLENDORE DIVINO

La conclusione riprende il tema della gloria di Dio (v. 31) e del suo sguardo (v. 32), accanto al tema della gioia di Dio (v. 31), che è parallela a quella dell’orante (v. 34).

Tuttavia essa lascia un po’ di amaro in bocca (v. 35: “Scompaiano i peccatori dalla terra e i malvagi non esistano più”): non tutti sanno gioire dell’opera di Dio, non tutti sanno giocare come Dio nel suo mondo, non tutti sanno elevare la loro lode a Dio. A qualcuno la sapienza che tesse il creato rimane velata.

Il salmista ci dice, però, che questa composizione, ancor più che una preghiera, è un canto (v. 34), non esprime quindi l’attitudine di chi si rivolge a Dio nella necessità e non è soltanto un atto di lode.

  • Si canta l’opera di Dio come si canta la bellezza dell’amata o dell’amato, come si esaltano le gioie dell’amicizia, come si apprezzano i gesti d’amore di chi è solidale con noi.
  • Si canta: un atto gratuito come risposta alla gratuità della partecipazione allo splendore divino che il creato riflette nei suoi elementi, colori e ritmi.


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