Skip to main content

RUANDA / 25 ANNI DOPO IL GENOCIDIO SU QUALE MEMORIA CONTARE?

Condividi su

Dopo un primo viaggio nel 1987, tra il 1996 e il 2015 ho visitato una ventina di volte il Ruanda; e ancora oggi sono in contatto – anche se meno di un tempo – con persone soprattutto degli ambienti di Chiesa di quel paese, che venticinque anni fa vide svolgersi uno dei peggiori massacri del ventesimo secolo.

Il genocidio ruandese ha destabilizzato la regione dei Grandi Laghi con un sommovimento le cui conseguenze si fanno ancora sentire (ne sa qualcosa in particolare la Repubblica Democratica del Congo). Certo, in venticinque anni la popolazione ruandese è cambiata a un ritmo vertiginoso: oggi, circa il sessanta per cento è nata “dopo” il genocidio; se si aggiungono i nati fra il 1990 e il 1994 si arriva a oltre i due terzi.

Comunque, sono almeno quattro milioni i ruandesi che hanno conservato memoria degli eventi spaventosi che si svolsero tra l’aprile e il luglio del 1994 – anche se una parte degli adulti presenti oggi nel paese delle “mille colline” vi è entrata dopo il genocidio, essendo discendenti di ruandesi usciti dal Ruanda all’epoca dell’indipendenza, tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60 del Novecento.

Il genocidio ruandese è stato un dramma epocale anche per la presenza cristiana e, in particolare, per la Chiesa cattolica, cui aderiva quasi la metà della popolazione, al novanta per cento cristiana. La storia di questi venticinque anni è anche la storia di un dibattito molto aspro circa il ruolo e la responsabilità della Chiesa cattolica ruandese nel suo insieme riguardo al genocidio.

Un (provvisorio?) punto d’arrivo di questo dibattito sono le parole di papa Francesco nel corso dell’udienza accordata il 20 marzo 2017 al presidente del Ruanda Paul Kagame. Il papa, come riferito a suo tempo da un comunicato della Sala Stampa vaticana, “ha manifestato il profondo dolore suo, della Santa Sede e della Chiesa per il genocidio contro i Tutsi, ha espresso solidarietà alle vittime e a quanti continuano a soffrire le conseguenze di quei tragici avvenimenti e... ha rinnovato l’implorazione di perdono a Dio per i peccati e le mancanze della Chiesa e dei suoi membri, tra i quali sacerdoti, religiosi e religiose che hanno ceduto all’odio e alla violenza, tradendo la propria missione evangelica. Il papa ha altresì auspicato che tale umile riconoscimento delle mancanze commesse in quella circostanza, le quali, purtroppo, hanno deturpato il volto della Chiesa, contribuisca, anche alla luce del recente Anno Santo della Misericordia e del Comunicato pubblicato dall’Episcopato ruandese in occasione della sua chiusura, a ‘purificare la memoria’ e a promuovere con speranza e rinnovata fiducia un futuro di pace, testimoniando che è concretamente possibile vivere e lavorare insieme quando si pone al centro la dignità della persona umana e il bene comune”.

Si ha l’impressione, parlando della Chiesa e dei suoi membri a proposito del genocidio ruandese, che si possano dire solo cose negative. In un articolo del Tablet, storico settimanale cattolico inglese, del 13 aprile di quest’anno, sono riportate alcune parole dell’arcivescovo anglicano (emerito) di Kigali Emmanuel Kolini, secondo il quale – riferendosi indistintamente a tutte le comunità cristiane del Ruanda – “nessun prete o vescovo è morto difendendo altri” (p. 7).

L’affermazione è troppo perentoria. La sola Chiesa cattolica ha contato quasi duecentocinquanta vittime tra vescovi, preti, consacrati e consacrate, missionari... E per citare almeno un caso di cui ho potuto raccogliere personalmente testimonianze, il parroco della parrocchia di Mukarange (diocesi di Kibungo), Jean Bosco Munyaneza, dopo aver aperto cortili e stanze della casa parrocchiale a quanti cercavano protezione, dopo averli aiutati a difendersi (a colpi di pietra) dagli Interahamwe, dopo essersi rifiutato di mettersi in salvo separandosi da quelli che aveva accolto, fu massacrato a colpi di macete il 12 aprile 1994; la stessa sorte è toccata al viceparroco Joseph Gatare. Non si tratta, sicuramente, degli unici casi.

Di fronte a un dramma come quello del Ruanda, nessuna semplificazione è giustificabile. Venticinque anni probabilmente non bastano a compiere quella “purificazione della memoria” di cui ha parlato il papa. Nel frattempo, la popolazione ruandese cambia con grande rapidità... difficile dire su quale memoria potrà contare, per un futuro diverso e migliore.



Per scaricare la rivista accedi con le tue credenziali d'accesso o abbonati.

Logo saveriani
Sito in costruzione

Portale Unico dei Saveriani in Italia

Stiamo finalizando la nuova versione del portale

Saremmo online questa estate!

Ti aspettiamo...

Versione precedente del sito