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PIANO MATTEI UN FANTASMA IN AFRICA

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Il nome del dirigente dell’Eni che oltre sessant’anni fa rivoluzionò il mercato mondiale del petrolio è considerato come una sorta di passepartout.

Il governo Meloni agita, fin dalla sua investitura, un Piano Mattei per l’Africa come risposta a una duplice crisi: quella dei migranti nel Mediterraneo che tocca l’Europa e l’Italia in particolare, e quella della necessità di sostituire il gas russo dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca.

L’ambizione è diventare un hub energetico che ridistribuisce il gas dall’Africa e dal Golfo Persico all’Europa. Dopo oltre un anno dal suo annuncio e di visite della premier in vari Stati africani parallelamente a quelle del presidente dell’Eni De Scalzi, non esiste uno straccio di documento che ne illustri almeno le grandi linee – tanto più che il vertice italo-africano che doveva tenersi entro la fine dell’anno è stato rinviato –, per non parlare delle risorse economiche semplicemente inesistenti.

UN PIANO INESISTENTE

Dopo la visita della presidente del Consiglio in Mozambico, lo scorso 13 ottobre, veniamo a sapere che il Piano effettivamente non esiste perché dovrà essere “scritto con l’Africa”. C’è voluto un anno per abbozzare chi avrà in mano la penna, in attesa dell’agognata scrittura. Quanto ai soldi, un po’ si invoca l’Unione europea – come sempre quando mancano, salvo poi farle la guerra ad ogni occasione – un po’ si pensa di rubare ad altri fondi, non meno necessari, per il momento il 70 per cento di quello per il clima (circa 3 su 4,2 miliardi di euro). Dalle dichiarazioni estemporanee finora udite si possono però percepire alcuni presupposti e contorni che comunque non possono fare le veci di un Piano fantasma.

UN NOME “PASSEPARTOUT”

Il primo aspetto da considerare è il nome che si è voluto dare al supposto Piano. Mattei chi era costui? Il nome del dirigente dell’Eni che oltre sessant’anni fa rivoluzionò il mercato mondiale del petrolio è considerato una sorta di passepartout per aprire le porte dei giacimenti di petrolio e soprattutto di gas all’Italia. Non è un dato da sottovalutare e la diplomazia italiana cerca di valorizzarlo, anche se poi il mercato degli affari segue altri interessi e logiche più concrete.

ENRICO MATTEI CHI ERA COSTUI?

Partigiano durante la Resistenza, dopo aver combattuto contro la liquidazione dell’Agip, Mattei aveva fondato l’Eni (Ente nazionale idrocarburi) nel 1953, convinto che l’Italia avesse bisogno di accedere al petrolio in quantità e prezzi tali da favorire lo sviluppo economico del paese. Per questo doveva rompere il monopolio delle “sette sorelle”, le sette compagnie petrolifere angloamericane che monopolizzavano l’estrazione e la vendita del petrolio imponendo elevati prezzi sul mercato e condizioni draconiane ai paesi produttori. La formula di Mattei era estremamente vantaggiosa, sia per il paese produttore, sia per l’Italia. Anziché dividere alla pari i profitti tra paese produttore e impresa che estraeva il greggio, Mattei propone al paese di dividere a metà i profitti: una prima volta come proprietario dei giacimenti e una seconda come comproprietario della società estrattiva. Il paese produttore passa quindi dal 50 a circa il 75 per cento dei profitti. Per rompere l’influenza angloamericana Mattei assume posizioni politiche audaci, dal sostegno all’Egitto nella crisi di Suez (1956) all’appoggio alla lotta di liberazione algerina (1954-1962) contro la colonizzazione francese. L’indipendenza algerina arriverà solo pochi mesi prima del sabotaggio dell’aereo in cui Mattei troverà la morte (27 ottobre 1962), ma l’aiuto ricevuto negli anni decisivi della liberazione, compresa la consulenza per le clausole relative al petrolio sahariano degli Accordi di Evian con la Francia (marzo 1962), indurranno Algeri ad aprire le porte all’Eni e all’Italia.

L’approccio di Mattei permette inoltre la realizzazione di iniziative legate all’estrazione degli idrocarburi, dagli oleodotti alle raffinerie, alle pompe di benzina, e soprattutto l’apertura di relazioni economiche oltre il settore petrolifero, che consentono un incremento degli scambi commerciali con l’Italia.

LE CONTROINDICAZIONI

E qui nasce un primo problema poiché la mappa dei giacimenti di idrocarburi non coincide esattamente con quella delle migrazioni. È così per la Libia e anche per la Tunisia (per le migrazioni), molto meno per l’Algeria, l’Angola, il Mozambico. Questo dato limita di per sé la capacità del Piano di ridurle.

Un altro aspetto importante sono gli accordi. Trascuriamo per il momento il fatto che essi dovranno prevedere sia la fornitura di gas sia l’adozione da parte del paese venditore delle politiche di contenimento delle migrazioni e di rimpatrio per i propri cittadini che fossero emigrati irregolarmente. Concentriamoci sulla fornitura di gas e sull’autorizzazione alla ricerca di nuovi giacimenti. Mattei ebbe sul piano economico “vita facile” nello spezzare il cartello monopolistico delle allora “sette sorelle” del petrolio semplicemente perché la sua offerta era di gran lunga più conveniente. A livello politico, anche interno all’Italia, ebbe invece enormi difficoltà, che segnarono poi il suo destino personale. La situazione oggi è cambiata: l’Italia e l’Eni sono in un mercato altamente concorrenziale dove, oltre i prezzi e gli investimenti diretti, contano i rapporti di forza sul piano economico e politico. Inoltre l’Opec, l’organizzazione dei paesi produttori, fissa prezzi che limitano molto le possibilità di ottenerne di più bassi. Questo per ciò che riguarda l’Italia, ricordando che l’obiettivo prioritario di Mattei fu di fornire all’Italia stessa abbondanza di petrolio a prezzi molto bassi per la sua crescita economica. In ogni caso di fronte all’imperativo di ridurre la dipendenza dal gas russo, qualunque prezzo sarebbe al limite giustificato. Dal punto di vista dei paesi produttori, la storia dimostra che i ricavi di gas e petrolio non vanno a vantaggio dell’economia del paese, soprattutto per ciò che riguarda l’equa distribuzione della ricchezza. Si osservano invece fenomeni generalizzati di accaparramento delle entrate da parte di élite, di esplosione della corruzione e delle disuguaglianze, sociali e territoriali, di indebolimento della democrazia. Un aspetto non trascurabile è che i regimi autoritari hanno bisogno di strumenti repressivi per mantenersi al potere. Da qui la destinazione di grandi risorse all’acquisto di armi, di cui l’Italia è un’importante esportatrice. L’importazione di armi favorisce la nascita di caste militari, di un vero e proprio conglomerato di potere economico e politico, oltreché armato, con tutte le conseguenze del caso: violenze, guerre civili, colpi di Stato.

L’IMPATTO DEVASTANTE SULL’AMBIENTE

L’estrazione degli idrocarburi non è senza impatto sull’ambiente. In Africa il caso più eclatante è quello del Delta del fiume Niger, in Nigeria. Ma senza raggiungere quegli estremi, l’ambiente africano subirà nuove devastazioni che hanno un impatto sulle condizioni di vita delle popolazioni e anche sul cambiamento climatico. Inoltre, l’importazione in Italia di gas ritarderà la mitica transizione ecologica nel nostro paese, il che a sua volta contribuisce al cambiamento climatico. 

Povertà, fame, disuguaglianze, violazione dei diritti fondamentali, discriminazioni, violenze, guerre civili o semplicemente le guerre, degrado dell’ambiente, cambiamento climatico sono le principali cause delle migrazioni. Difficile pensare che un Piano Mattei fondato su questi presupposti possa mettere fine alla situazione attuale, che invece sarebbe aggravata.

LE SOLUZIONI

Le soluzioni sono sul tavolo da sempre e rappresentano dal punto di vista di Mattei quel reciproco vantaggio che è la base di qualsiasi accordo. L’Italia e l’Europa hanno bisogno di manodopera, gli ingressi regolari costituiscono la premessa per lavori dignitosi, formazione, rimesse regolari a vantaggio delle famiglie residenti nei pesi di origine che contribuiscono a superare la povertà. L’Italia in particolare bloccherebbe il suo declino demografico, avrebbe quelle forze giovani che col loro lavoro e i loro contributi assicurativi possono scongiurare l’inevitabile collasso del sistema pensionistico italiano e garantire alle giovani generazioni un futuro dignitoso.

L’Italia formerebbe classi dirigenti dei paesi di origine dei migranti, da sempre una delle chiavi per favorire alleanze economiche e politiche, come ben sanno i paesi colonialisti. Si tratterebbe in questo caso di costruire relazioni di nuovo tipo, di avere un nuovo sguardo verso i cittadini africani. Ma quale ricordo dell’Italia avranno i migranti tenuti a marcire 18 mesi nei Centri di rimpatrio? L’Italia è un paese che non sa guardare il proprio futuro, non solo non accoglie con dignità i migranti di cui ha un tremendo bisogno, ma lascia fuggire i suoi migliori giovani all’estero.



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