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Osea: Missione, una storia d'amore

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“Canterò per il mio diletto un canto d’amore alla sua vigna” (Is 5,1). Il profeta, prestando la voce a Dio, racconta la storia di un amore deluso, una storia che vede implicati i suoi ascoltatori e che si ritorcerà contro di loro come un atto di accusa. Scorrendo il testo biblico si può inseguire la trama della vicenda d’amore presupposta dal profeta Isaia: essa è il riflesso di un lungo tragitto che culmina nella predicazione della Chiesa primitiva.

IN PRINCIPIO, UNA SCELTA D’AMORE

Dio ha visto, Dio ha scelto. Così inizia la storia d’amore. Una fanciulla “gettata in piena campagna il giorno della sua nascita” (Ez 16,5), è ora oggetto della premura e dell’attenzione di Dio. L’amore rende importanti e non bada a spese, perciò Dio la riveste come una regina e la ricopre di preziosi monili (cfr. Ez 16,11-13).

Ti passai accanto e ti osservai: era ormai per te l’età dell’amore, ti presi in sposa e coprii la tua nudità; ti giurai e strinsi alleanza con te, oracolo del Signore YHWH, e tu diventasti mia (Ez 16,8).

C’è stato un tempo in cui tra i due partner vi era comprensione, affetto, lealtà, ma questo idillio ha avuto una durata effimera, perché la donna prescelta si è presto dimenticata dei benefici ricevuti e ha ricercato altri amanti, altri regali. Perciò la storia d’amore si carica di tragicità; si narrano le infedeltà di questa donna, ci si attarda a descrivere la collera dello sposo tradito, si riportano le sue minacce e i castighi che incombono sulla donna infedele.

Accusate vostra madre, accusatela, perché essa non è più mia moglie e io non sono più suo marito! Si tolga dalla faccia i segni delle sue prostituzioni e i segni del suo adulterio dal suo petto; altrimenti la spoglierò tutta nuda e la renderò come quando nacque e la ridurrò a deserto, come una terra arida, e la farò morire di sete (Os 2,4-5).

LA MISSIONE COME UN MATRIMONIO

Non è raro trovare nei testi profetici l’immagine sponsale come simbolo della relazione tra Dio e il suo popolo. Si tratta di immagini che si fissano nella mente perché ogni storia d’amore risuona nell’intimo di un lettore o spettatore, coinvolgendolo nelle aspettative, negli entusiasmi e nelle frustrazioni dei protagonisti. I profeti riflettono un ambiente religioso in cui non era inconsueto attribuire a un dio sentimenti modellati su quelli dell’umanità: nel Vicino Oriente antico si veneravano dei e dee che amavano, seducevano, generavano.

Ma la presentazione che i profeti fanno di Dio si distacca radicalmente da quella del loro ambiente: essi non collocano la vicenda amorosa di Dio in un passato mitico inafferrabile; per essi la vicenda amorosa di Dio si è consumata entro la vicenda storica del popolo: è il popolo infatti la sposa che è stata osservata e scelta mentre si trovava ai margini della strada, quando era una massa di schiavi e l’amore di Dio lo rese libero; è il popolo che ha goduto dei preziosi doni divini nella terra donatagli da Dio (cfr. Os 2,10). I benefici di Dio non hanno tuttavia incontrato un’adesione corrispondente da parte di Israele: lungi dal mantenersi fedele al suo benefattore, esso si è rivolto ad altre divinità, come una donna che, infedele al marito, si abbandona ai suoi amanti.

Nel testo biblico ricorre un’altra immagine per definire la relazione Dio/popolo, quella dell’alleanza/patto, che prende probabilmente a modello trattati o accordi di tipo giuridico/politico, siano essi tra stati o tra persone private.

Che cosa intende mostrare l’immagine del matrimonio? Un vincolo che non si esaurisce nella legge: esso è fondato sull’amorereciproco e richiede fedeltà reciproca.

Ciò costituisce per la nozione di alleanza un arricchimento considerevole, poiché mostra che Israele e il suo Dio sono vincolati per il cuore e non solo per il diritto. Di fronte alla sposa infedele, tuttavia, quale atteggiamento assumerà il marito? La gelosia e il dolore per il tradimento sembrerebbero doverlo costringere a punire, come mostrano alcune espressioni profetiche: “Le farò scontare i giorni dei Baal, quando bruciava profumi per loro e, ornata di anelli e collane, inseguiva i suoi amanti, dimenticandosi di me!” (Os 2,15).

ALLA FINE, UN NUOVO INIZIO

Punendo la sposa infedele Dio non farebbe che rispettare i codici legali da lui stesso promulgati, i quali prevedevano per l’adultera l’esecuzione (cfr. Lv 20,10; Dt 22,22-24); Egli tuttavia ci sorprende, perché va in tutt’altra direzione: “Ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Là mi risponderà come quando era giovane, come quando salì dall’Egitto” (cf. Os 2,16-17). Invece della conclusione tragica siamo ricondotti a un nuovo inizio: Dio, il marito tradito, vuole nuovamente sedurrela sposa infedele. La situazione è disperata e l’intervento di Dio rappresenta l’estremo tentativo per ricuperare colei che sarebbe destinata a perire. La storia, poi, ricomincia là dove era iniziata, nel deserto, il luogo in cui per la prima volta il popolo ha sperimentato l’intimità con Dio, dove la sposa di nuovo sedotta potrà rispondere, cioè riconoscere il suo sposo, riconoscere chi le dà affetto, amore, dignità: “Allora mi chiamerai: Sposo mio, e non più: Baal mio” (Os 2,18).

Il rapporto è di nuovo fondato, ma questa volta lo sguardo è volto al “per sempre”: “Ti sposerò a me per sempre” (Os 2,21).

Il verbo usato dal profeta per esprimere questo nuovo atto di Dio (“sposare”) è applicato nella Bibbia regolarmente a una giovane vergine: Dio ha rinnovato la sua partner, la quale è ormai trasformata, cosicché si può di nuovo riproporre il linguaggio delle origini, quel linguaggio che il popolo aveva già udito quando Dio si era impegnato a liberarlo dalla schiavitù (cfr. Es 6,7): “Io li seminerò di nuovo nel paese e amerò Nonamata; e a Non-mio-popolo dirò: Popolo mio, ed egli risponderà: Dio mio” (Os 2,25). La vicenda amorosa tra Dio e il suo popolo non si chiude con lo sguardo corrucciato dell’amante tradito o con la vendetta d’onore che elimina gli adulteri. L’accusa del profeta culmina invece nella proclamazione dell’agire futuro di Dio, che riporta a sé l’amata e rinnova le gioie dell’originaria relazione, poiché non dimentica la “donna della giovinezza” (cfr. Pr 5,18; Ml 2,14). È bene chiarire che l’immagine sponsale non si concentra solo sulla condotta umana: essa intende illuminare anche sull’agire divino: l’agire di Israele non era inspiegabile, mentre quello divino spesso era problematico (e la gente si divideva a tale proposito).

Nei profeti YHWH è presentato come marito affettuoso, ma pure come marito geloso.

LA MISSIONE CAMBIA LA NOSTRA IMMAGINE DI DIO

Uno dei motivi dell’efficacia dell’immagine matrimoniale per l’audience antica dipendeva dal fatto che molte delle idee centrali in essa veicolate coincidevano con quelle che essa aveva sul mondo, su Dio, sui ruoli dei sessi, sul potere. Con questa metafora il potere rimaneva fermamente in mano ai potenti; si manteneva salda una concezione gerarchica della realtà; non si metteva in discussione il diritto dei più forti di usare anche la forza fisica per punire quelli meno forti; inoltre rafforzava gli stereotipi sul rapporto uomo/donna: la metafora “era per molti aspetti un espediente poetico abbastanza conservatore per impartire un’istruzione religiosa” (R.J. Weems); nella metafora si collegano amore e intimità ad aggressione, potere, dominio e autorità e si rendono i corpi e la sessualità delle donne oggetto dell’abuso e del dominio maschile.

Appunto l’esito della vicenda sottolinea, però, che essa intende pure criticare una determinata immagine di Dio: egli non è lo sposo tradito che cerca vendetta, ma colui che è disposto a contrastare persino i suoi dispositivi legali pur di far ritornare a sé l’amata.

Non è forse questo lo stile della missione di Gesù, il quale non teme di associare a sé i peccatori e le peccatrici (anche le adultere), di accogliere coloro che hanno fede nella potenza risanante e purificante dell’amore del Padre, di rompere le barriere (anche religiose) che impediscono la comunione tra gli umani?



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