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Le elezioni in Brasile: tanto false da sembrare vere

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Alle elezioni del 4 ottobre, Fernando Henrique Cardoso è stato rieletto presidente per un secondo mandato di quattro anni.  Da Belém il nostro amico S. Mombelli ci dà una lettura dei risultati elettorali, scontati ma non senza qualche sorpresa.

Nonostante la vittoria, ottenuta con l’appoggio dei media tra cui la potente Tv Globo, Cardoso deve fare i conti non solo con la crisi economica, ma anche con il fatto che Lula, capo del Pt e di una coalizione di sinistra, ha ottenuto il 32% dei voti, molto più delle previsioni,  e il 37% dei brasiliani si sono astenuti.


Che cosa si dice dei fiori artificiali? Sono tanto belli che sembrano veri. E dei fiori veri? Sono tanto belli che sembrano artificiali.

Con queste espressioni si può fare un commento globale alle elezioni politiche brasiliane del 4 ottobre scorso.  Furono tanto serene e tanto tranquille da sembrare democratiche.  Furono tanto insinuanti e convincenti da ottenere ciò che soltanto una dittatura cieca potrebbe ottenere.

Per capire queste contraddizioni bisogna conoscere lo stile della classe dominante brasiliana.  Da secoli essa si comporta come una classe ricca in cordialità, provvidenza e carità.  Spaccava la schiena a schiavi e servitori, ma li curava con dolcezza e amore.  Da secoli essa pratica un conservatorismo feroce, ma lo fa passare come una carezza o un’aria frizzante che sferza, sì, la pelle del viso ma fa bene ai polmoni.

IL NEOLIBERISMO BRASILIANO

Il presidente rieletto, sicuro come Clinton, melanconico come Eltsin, elegante e democratico come Gary Cooper o Rodolfo Valentino, è riuscito a far credere che il Brasile è arrivato alla soglia dei paradiso e, se non vi è ancora entrato, è perché san Pietro è corrucciato come un operaio sindacalista o un intellettuale da università chiusa per mancanza di fondi.  La crisi è mondiale sì, ma non brasiliana.

Il neoliberismo brasiliano è prudente come il cobra e innocente come la colomba.  Le decine e decine di miliardi di dollari che ogni giorno scappano dal paese sono un male passeggero, tipo raffreddore, che si può curare con un po’ di aspirina e caramelle alla menta.  Ciò che può essere tumore maligno per l’Argentina e per il Perù, per il Brasile è soltanto problema di terzini e di mezz’ala volante in una partita di campionato.  Perché chiamare il chirurgo Lula, se il male (oscuro) del Brasile è soltanto una pleurite secca che passa senza che ce ne accorgiamo?  Perché dobbiamo sottometterci ad un’operazione piena di rischi, quanto possiamo guarire con un poco più di sorrisi, canzoni e novelas?

COME UNA TELENOVELA

Seguite alla Tv Globo, le elezioni sono proprio sembrate una novela televisiva.  Romanticismo da svenire, sentimenti falsi di classe media alta e ben nutrita, alcune idee giuste ma viste come pericolo e come peccato, ambienti borghesi sofisticatissimi, principi azzurri e fortunatissime cenerentole: ecco le medicine che le telenovela offrono ad un popolo che si ammala perché non mangia a sufficienza e muore perché non può usufruire di ospedali e di cure.

Un poeta brasiliano dice che l’amore è una medicina che fa male e un veleno che fa bene.  Applicata alla politica, questa idea potrebbe suonare così: una droga che fa sognare il paradiso, mentre uccide a poco a poco, senza che la vittima se ne accorga.  Se invece che alla religione, Marx avesse aggiustato questa idea alla politica brasiliana, avrebbe azzeccato in pieno e sarebbe ancora vivo a dire la sua.

Ciononostante, le elezioni hanno posto un serio interrogativo tanto al vincitore Fernando Henrique Cardoso quanto alla classe dirigente, sorniona e fraudolenta, che lo sostiene.  Perché Lula è arrivato al 32%, e nelle grandi città al 36%, quando le previsioni e i sondaggi scientifici lo davano poco più del 20%?  Perché il 37% dei brasiliani si sono astenuti o hanno votato nullo?  Perché Fernando Henrique ha raggiunto soltanto la quota delle previsioni e nulla più?

Anche se a scoppio ritardato, la bomba della verità dovrà venire a galla ed esplodere con effetti disastrosi, non del tutto imprevisibili.

SAVINO MOMBELLI - Belém, 15 ottobre 1998.


IL PESO DEI MEDIA NELLE ELEZIONI BRASILIANE

È nota la manipolazione medianica elettorale in Brasile.  Alle elezioni presidenziali del 1989, Lula, l’esponente del Pt, partito dei lavoratori, era stato battuto sul filo da Fernando Collor, il candidato di destra: Tv Globo era allora in una posizione di quasi monopolio.

Prima delle recenti elezioni, la rivista economica Carta-Capital riportava alcuni dati istruttivi sulla forza medianica al servizio del presidente Fernando Henrique Cardoso: durante il marzo ’95 ben 96 parlamentari alleati delle forze del potere avevano beneficiato di concessioni radio o televisive.  Nei quattro anni di mandato di Cardoso, 87 parlamentari avevano ereditato gli stessi privilegi.

Nelle elezioni del 4 ottobre “il popolo, per quanto manipolato e poco informato, ha votato in un modo che ha sorpreso coloro che confidavano nell’onnipotenza del propri mezzi di persuasione” (Marcelo Barros).  I sondaggi, che ora risultano falsi e distorti, proclamavano Cardoso presidente con il 60% dei voti (“il presidente più votato del Brasile!”): i risultati indicano, invece, un magro 52%, contro il 32% di Lula (10% in più di quanto indicavano i sondaggi). Questo nonostante la mancanza di un libero dibattito ed informazione sui programmi dei partiti, “l’oscuramento” sui nomi stessi dei candicati dei partiti di opposizione, la paura seminata di “un sicuro rialzo dell’inflazione” se non avesse vinto Cardoso.

Così a pagare saranno, ancora una volta, i poveri: il governo brasiliano sta preparando un piano di austerità del valore complessivo di 20-25 miliardi di dollari.   Lo ha detto il presidente della banca centrale del Brasile, Gustavo Franco, preannunciando tagli alle spese “perché la spesa pubblica è eccessivamente concentrata sui costi del personale e sugli stanziamenti della previdenza sociale”.

M.E.



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