La crisi alimentare vista dall'Africa
"Non ditemi, per amor di Dio, che il cibo costa caro a causa del biodiesel", ha esclamato davanti ai giornalisti il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva a Brasilia in occasione della XXX Conferenza regionale dell'Organizzazione dell'Onu per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao). "Il cibo è caro perché il mondo non è preparato a vedere milioni di cinesi, indiani, africani, brasiliani e latinoamericani mangiare bene", ha continuato.
"Vogliamo piuttosto discutere di questo con passione e raziocinio, e certamente non dal punto di vista europeo".
Dopo le proteste in Brasile e in Europa contro i biocarburanti, il presidente del Brasile ha difeso la produzione di etanolo derivato dalla canna da zucchero - usato per il trasporto -, negando che abbia contribuito alla scarsità del cibo e al carovita. E così, mentre sul telegiornale italiano il carovita è una notizia annunciata con grafici e percentuali che si innalzano, in molti Paesi africani (vedi grafico), ma anche in Messico, Perù, Bolivia, Haiti, ecc. è crisi alimentare, cioè, fame.
Negli ultimi dieci mesi il prezzo del frumento e della soia è raddoppiato, quello del riso è aumentato del 75% e quello del granoturco del 66%: ecco il motivo delle manifestazioni di protesta in varie parti del mondo. E l'Africa è la capofila! Gli africani avvertono di più il colpo perché sono i principali importatori di cereali, e questo capita proprio quando sale il prezzo del petrolio. Nel bilancio della famiglia africana l'alimentazione assorbe circa il 70% dei redditi (nei Paesi ricchi solo 15%). Cinquant'anni fa, i Paesi africani avevano un'eccedenza di prodotti agricoli. Quelli industrializzati, negli ultimi decenni, hanno creato un'agricoltura che produce molto impiegando solo il 4 - 5% della popolazione. Anzi, grazie ai sussidi governativi (un miliardo di dollari al giorno), i governi spingono a produrre di meno.
Sotto l'influenza della Banca mondiale e altri organismi internazionali, i Paesi non ancora industrializzati hanno ulteriormente sviluppato colture di esportazione (caffé, cotone, cacao, ecc.) a scapito di quelle di sussistenza per il mercato interno. Insomma l'agricoltura è stata trascurata, la popolazione è cresciuta e le classi medie dei Paesi emergenti (India e Cina con circa 600 milioni di persone) hanno cominciato a consumare molto di più e meglio.
L'offerta non riesce a soddisfare la domanda che cresce. Ecco la crisi, soprattutto in Africa.
Ma il diritto al cibo è un diritto fondamentale. Per lo Stato ciò implica tre obblighi: a rispettare, a proteggere e a provvedere. In altre parole: sovranità alimentare!
L'ha capito il presidente del Senegal, Abdoulaye Wade: "Dobbiamo aumentare la nostra produzione di riso. In sei anni, dobbiamo poter produrre in loco le 600.000 tonnellate che compriamo all'estero, a ritmo di 100.000 tonnellate all'anno. Abbiamo la terra, la volontà, la popolazione, le macchine. Possiamo irrigare 240.000 ettari nella regione del fiume Senegal". Intanto sarà l'India a mandargli le 600.000 tonnellate di riso. Buone decisioni, in verità! Se fossero state prese sei anni fa! Non bisogna mai trascurare l'agricoltura, anche se il consiglio viene dalla Banca mondiale!