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I MACCABEI, LA MISSIONE D’ISRAELE ECO DELL’ETERNO NONVIOLENTO

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Il titolo “libri dei Maccabei” è tramandato dal II secolo d.C. Tale designazione deriva dal soprannome dato a Giuda, l’eroe delle vicende in essi narrate. Il significato del soprannome è incerto, ma molti lo fanno derivare dall’ebraico maqqebet, “martello”.

Le due opere non presentano una storia continua, come i libri di Samuele, dei Re e delle Cronache, ma trattano in parte dello stesso periodo storico: 1Mac degli anni 175-134 a.C., 2Mac degli anni 175-161 a.C. I due libri narrano soprattutto i conflitti dei giudei contro i re Seleucidi, determinati dalla situazione politica in cui versava il regno siriano, il quale doveva ormai fare i conti con gli interessi romani in Oriente.


LE AMBIZIONI FRUSTRATE DEI SELEUCIDI

Antioco III il Grande, dopo aver perso la quarta guerra siriana (217 a.C.), riuscì infine a conquistare nel 200 a.C. la Celesiria (battaglia di Panion), trovando inizialmente il favore delle popolazioni per il cambio di regime; le sue ambizioni nei confronti dei territori dell'Asia Minore furono invece frustrate dall’intervento dei romani che a Magnesia gli inflissero una pesante sconfitta (189 a.C.), con gravose sanzioni economiche che indussero sia lui sia i suoi discendenti a prelevare dai tesori dei templi le risorse necessarie a pagare tali sanzioni.

Nel 187 gli successe suo figlio Seleuco IV Filopatore, riguardo al quale le fonti antiche presentano un giudizio piuttosto piatto; non così 2Mac, che riferisce dell’invio da parte di Seleuco del suo funzionario Eliodoro a prelevare i tesori del tempio di Gerusalemme, un tentativo fermato da Dio stesso (2Mac 3,4-40).

Nel 175 a.C. salì al trono Antioco IV, figlio di Antioco III, per lunghi anni ostaggio a Roma dopo la sconfitta subita dal padre. Contrariamente all’immagine che la tradizione si è fatta di questo re, Antioco non fu un fanatico propugnatore della cultura ellenistica, né intese imporre i costumi greci a tutti i popoli del Vicino Oriente; neppure fu un pazzo (come molte fonti riportano, deformando il suo titolo Epifane – "dio manifesto" – in Epimane – "pazzo"); fu piuttosto simile a molti sovrani del tempo, concentrando il suo interesse su due cose: il denaro e il potere. Le necessità finanziarie di Antioco furono, infatti, sfruttate dall’aristocrazia di Gerusalemme, la quale era divisa al suo interno.

MINACCIANO IL MONDO GIUDAICO

Il sommo sacerdote Onia III aveva un fratello di nome Giasone, il quale offrì ad Antioco una somma consistente per essere nominato sommo sacerdote; si trattava di un incremento del tributo annuale da pagare ai Seleucidi. Oltre a ciò Giasone ottenne di trasformare Gerusalemme in una polis greca, dotata di strutture e istituzioni apposite (cf. 2Mac 4). L’iniziativa di Giasone non durò a lungo: tre anni dopo, a sua volta egli fu tradito da Menelao, che ottenne dal re il sommo sacerdozio, sempre con l’impegno a fornire un tributo più consistente.

Ad aggravare la situazione intervenne la politica estera di Antioco IV, il quale dapprima sconfisse l’Egitto nel 169 a.C., ma l’anno successivo le sue ambizioni furono frustrate dai romani che gli imposero di ritirarsi. Di ritorno dalla spedizione, a causa della situazione turbolenta trovata in Giuda, prima saccheggiò il tempio e in seguito inviò un vecchio ateniese “per costringere i giudei ad allontanarsi dalle leggi dei padri e a non governarsi più secondo le leggi di Dio, e inoltre per profanare il tempio di Gerusalemme e dedicare questo a Giove Olimpio e quello sul Garizìm a Giove Ospitale” (2Mac 6,1-2).

CHE RITROVA SE STESSO NELLA LOTTA ARMATA

Molti giudei si adeguarono alle disposizioni del re, ma una parte consistente della popolazione si oppose. Alcuni organizzarono una resistenza armata sotto la guida di Mattatia  e dei suoi figli: Giuda, Gionata e Simone; altri invece rifiutarono di abbracciare le armi e opposero al re la loro coraggiosa professione di fede: tra questi spiccano i martiri le cui sorti sono narrate in 2Mac 6,10-7,42.

MA SOPRATTUTTO NEL MARTIRIO

Sono assai importanti i motivi che spinsero questi martiri a sacrificare la loro vita. Due donne furono torturate e uccise perché avevano circonciso i loro figli (6,10); altri furono arsi vivi nelle grotte in cui si erano nascosti per osservare il giorno di sabato (6,11); uno scriba di nome Eleazaro fu trucidato per essersi rifiutato di mangiare carne di porco (6,18-31) e dopo aver respinto la proposta fatta di fingere di sottomettersi al decreto, non volendo dare un cattivo esempio ai giovani.

L’episodio più famoso è narrato nei dettagli in 2Mac 7,1-42 e coinvolge una donna e i suoi sette figli, torturati e massacrati perché rifiutarono di “cibarsi di carni suine proibite” (7,1).

Tutte queste persone subirono dunque il martiro perché si proposero di rimanere fedeli alle pratiche che distinguevano i giudei nel mondo ellenistico: la circoncisione, l’osservanza del sabato e regole alimentari.

OSSIA IN UNA VISIONE NONVIOLENTA DELLA VITA

L’episodio della madre e dei suoi sette figli è particolarmente toccante, perché ciascuno dei sette figli è condotto davanti al re e, sotto tortura, espone il motivo della sua disobbedienza; anche la madre interviene in due occasioni. Il narratore è attento a mettere in luce, attraverso le parole della madre e dei giovani, qual è la fonte della loro coraggiosa opposizione, cioè la fede nella risurrezione.

Il secondo figlio dichiara al re: “Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell'universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna” (7,9); il terzo presenta la sua lingua e le sue mani e proclama: “Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo” (7,11); il quarto dice: “È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te non ci sarà davvero risurrezione per la vita” (7,14).

Infine la madre esorta l’ultimo figlio: “accetta la morte, perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia” (7,29).

RISCOPRENDO LA FEDELTÀ DI DIO

Il martire si oppone dunque non per fanatismo o per spirito di rivalsa a chi esercita il potere, ma perché consapevole che nessuno ha il diritto di profanare il santuario della coscienza e soprattutto perché la sua speranza si radica nella fedeltà di Dio alla sua creatura.

Il tiranno e l’oppressore si propongono come arbitri della vita umana e pensano di poter disporre degli umani a loro piacimento.

Il Dio che si è rivelato a Mosè al Sinai ha preso, invece, da sempre la parte degli oppressi contro chi, in spregio della dignità umana, riduce le persone in schiavitù o nega loro il diritto a vivere secondo le proprie convinzioni.

QUALE VERO REGISTA DELLA STORIA

La storia ebraica e cristiana è costellata di episodi in cui i credenti in Dio hanno dovuto affrontare prove come quelle narrate nei nostri libri; anche oggi assistiamo a ricorrenti episodi di questo tipo. La liturgia ci propone inoltre in diverse occasioni la memoria dei martiri; questa, però, non è la celebrazione dell’eroismo umano, ma la confessione che la testimonianza fedele è la vera molla della storia, non l’ostentazione del potere o l’esercizio della violenza.

E la fede nella risurrezione non è una speculazione sul futuro, ma la confessione del potere divino che, reggendo la storia secondo un suo piano, la guida anche verso un futuro assoluto, in cui risalterà pienamente che è Lui che fa vivere: il Dio che vive in eterno (cf. Dan 12,7), a differenza dei sovrani terreni, non è colui che aspira all’eternità (cfr. il saluto cerimoniale rivolto ai sovrani antichi: Re, vivi per sempre), ma colui che fonda l’eternità.

Soltanto la fedeltà a Lui consente al credente perseguitato di non temere la morte, poiché il futuro, benché indisponibile, nascosto e velato, non è una perenne minaccia, ma una fiducia che sfida il buio della morte e che è

fondata sulla parola di YHWH, che lo impegna a mantenersi fedele alle sue promesse e al giuramento stretto con i suoi partner.



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