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Giappone, il secolo dei martiri

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Giappone Martiri LibroNegli anni ’90 la sagoma del monte Unzen, soggetta a continue modificazioni a causa delle eruzioni, lasciava trasparire qualcosa di sinistro all’ignaro visitatore. Era invece emozionante osservarla stando dall’altra parte del golfo di Ariake, mentre il sole scompariva dietro facendola brillare della luce calda del vespro. Ben più compromettente era fissarla al tramonto durante la preghiera del Magnificat, dopo aver messo piede in quei luoghi dove tanti cristiani giapponesi (immersi nelle acque bollenti e solforose del vulcano) testimoniarono fino al sangue il loro amore e attaccamento al Signore Gesù.

Ebbene, i martiri di Unzen (1627) occupano solo uno dei 17 capitoli del libro Giappone, il secolo dei martiri, ove si narrano altrettanti momenti di martirio. Ma il capitolo XI (“L’Eucarestia, cuore della chiesa. Paolo, Gioacchino e i martiri di Unzen”), fa da splendida corona alle altre testimonianze di questi cristiani giapponesi del secolo XVII.

Quando si parla di martiri giapponesi mi viene sempre in mente quella studiosa laica inglese, piuttosto polemica, che negli anni ‘80 aveva cercato di squalificare l’opera dei missionari del secolo XVI, sostenendo che molti giapponesi sarebbero diventati cristiani solo per ossequio ai loro capi (daimyo). Certamente le sfuggiva un dettaglio molto singolare, e cioè che quei fedeli cristiani, pur avendo visto i propri capi abiurare o fuggire di fronte al pericolo, non esitarono a perseverare nella fede fino alla fine. E non si trattò di qualche sporadico, coraggioso, solitario samurai. Ma, come mette bene in evidenzia il libro, di una schiera sterminata di testimoni: mamme con i bambini piccoli in braccio, giovani e adulti, intere famiglie di contadini, mercanti e artigiani, persone di ogni rango sociale, rappresentanti di tutto il campionario umano della società giapponese di allora.

Gente che, nella semplicità della propria fede, seppe trovare la forza per affrontare i più spietati metodi di tortura e di morte.

Non si può sorvolare nemmeno sulla vicenda di quei martiri che, inizialmente timorosi, avevano abbandonato la fede, ma, in seguito, purificati dall’assistenza alle famiglie dei martiri e dalla carità verso i più poveri, i lebbrosi e i malati, a loro volta si consegnarono nelle mani dei persecutori. Pietro Kibe e gli altri 187 beati sono solo una parte di quella schiera immensa di testimoni, patrimonio vivo non solo della Chiesa giapponese, ma di quella universale. Sono per lo più già noti, grazie anche al calendario liturgico, i 26 martiri di Nagasaki, Paolo Miki e compagni, del 1597. Sono invece passati sotto silenzio i 16 martiri domenicani canonizzati da Giovanni Paolo II, nel 1987. Del tutto sconosciuti restano i 250 martiri beatificati da Pio IX nel 1860.

Il libro è articolato in capitoli brevi, di facile lettura. Chi si avventura in queste pagine, non si stacca dalla lettura finché non è arrivato in fondo. I capitoli sono avvincenti come un romanzo serial, a puntate. Spingono alla preghiera e alla verifica della consistenza della fede del lettore. I disegni e le immagini aiutano chi legge ad immedesimarsi nella vicenda, facendolo entrare da protagonista in scena. Di fronte ad un cristianesimo così compiuto, come quello dei martiri giapponesi del secolo XVI, sembra che non ci sia spazio per l’indifferenza o per la freddezza. La presenza di più di 30.000 persone (quasi il 10 per cento di tutti i cristiani del Giappone) al rito di beatificazione, il 24 novembre 2008 a Nagasaki, è un segno eloquente di quanto la Chiesa giapponese senta come proprio e attuale patrimonio questo momento della sua storia, ma soprattutto come si identifichi in queste figure di cristiani autentici, segno di contraddizione e di rinnovamento per tutto il Paese.

Per noi Chiesa italiana questi 188 martiri, per lo più persone che hanno vissuto vite ordinarie, diventano un monito a riscoprire la necessità della testimonianza del Vangelo nella vita di tutti i giorni. In una società che, purtroppo, tende a livellare tutto verso il basso, Pietro Kibe e gli altri 187 martiri sono un invito a “duc in altum”.



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