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FAKE NEWS E IL FRAGILE BENE DELLA FIDUCIA

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Un quotidiano pubblica una rubrica che, con l’aiuto dei lettori, si propone di smascherare le fake news. Vi trovo la foto – molto diffusa, a quanto pare, attraverso Facebook – di una bambina che tiene in mano un cartello sul quale è scritto: “Aiutate la mia famiglia. Vi chiedo scusa se noi non siamo migranti”. Sotto, è riportata l’immagine originale: si tratta di una foto, ricuperata da uno dei più diffusi siti che rendono disponibili foto online, che ritrae una bambina di origine ispanica, con il cartello che dice: “Please Help”. Più o meno negli stessi giorni (siamo all’ultima decade di luglio), infuria la polemica su Josefa, la donna camerunese salvata dopo aver trascorso in mare quarantott’ore, che viene sbeffeggiata e insultata per le sue unghie laccate – salvo poi scoprire che a pitturargliele (per tranquillizzarla e aiutarla a parlare) erano stati i volontari dell’Ong Open Arms, che l’avevano tratta in salvo.

Sono solo due esempi – in questo caso legati entrambi ai drammi della migrazione che segnano questi nostri tempi – di manipolazione di notizie, foto, informazioni, news ecc., alle quali siamo costantemente esposti. Per inciso, segnalo che problemi simili si ritrovano anche in altri ambiti, come quello della ricerca storica: dove l’accuratezza della ricerca delle fonti, della loro lettura e interpretazione è, a quanto pare, una merce sempre più rara.

Che cosa rischiamo di più, in questo stato di cose? Di credere a tutto? Oppure, di non credere più a niente e a nessuno? Temo che quest’ultima sia la deriva più probabile, e pericolosa. Temo, in altre parole, che si arrivi al momento nel quale non saremo più capaci di fidarci non dico delle notizie che possono essere trasmesse da una radio o da un social media, da una televisione o da ciò che potrà rimanere dei giornali di carta, ma non riusciremo più a fidarci gli uni degli altri, riducendoci a vivere o in una permanente “cultura del sospetto” o – più probabilmente – in una sorta di apatia menefreghista, dove, posto che il benessere mio ed eventualmente di quegli alcuni che mi stanno a cuore sia salvaguardato, tutto il resto può andare in malora: tanto, non c’è modo di stabilire che cosa è vero e che cosa è falso, ed è inutile perdere tempo ed energie a questo riguardo.

Resto tuttavia dell’idea che, senza la possibilità della fiducia reciproca, il mondo diventerebbe invivibile. Nonostante le possibili eccezioni, debbo potermi fidare del fatto che il pilota dell’aereo ha la testa a posto e farà tutto il possibile per farmi arrivare sano e salvo (e in orario) a destinazione; o che il chirurgo che affonda il bisturi nella mia carne sappia il fatto suo e che, insieme con la sua équipe, cercherà non solo di non nuocermi, ma anche di farmi guarire. Analogamente, devo potermi fidare della probità dello storico, della competenza dello studioso, della correttezza del giornalista o di chiunque cerca di offrirmi qualche informazione.

Ciò non significa rinunciare al senso critico: questa è anzi una merce quanto mai necessaria, nel mondo di oggi. Ma è, o dovrebbe essere necessaria, perché sappiamo che le nostre conoscenze sono parziali e fallibili, che i fatti possono essere interpretati, anche in buona fede, in modi diversi, che la verità è – anche per un credente – non semplicemente un dato acquisito, ma ciò verso cui tutti siamo protesi (cfr. Dei Verbum 8). Ma se il senso critico si trasforma nel dubbio permanente che l’altro ti voglia ingannare, che ogni notizia sia manipolata, che la comunicazione o l’informazione non siano altro che mezzi di propaganda, che il preteso esperto o competente ne sappia, in realtà, meno di me e di te... vivere diventerebbe davvero impossibile. Anche la missione ha bisogno del bene preziosissimo della fiducia: fiducia che la “buona notizia” che mi viene trasmessa non vuole manipolarmi o plagiarmi; che chi me la testimonia lo fa perché ritiene di avere incontrato qualcosa di bello e significativo, di aver incontrato anzi Qualcuno nel quale viene offerta all’uomo un’autentica promessa di vita buona per oggi e per sempre.

Fiducia nel fatto, insomma, che l’annuncio del Vangelo mi è offerto e mi interpella non nella logica del proselitismo condannato da Gesù (cfr. Mt 23,15), ma solo in base al principio: “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8), in pieno rispetto della verità e della libertà.

Mi auguro che il bene della fiducia non venga smarrito, e che anche noi credenti sappiamo meritarcela, umilmente, giorno per giorno.



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