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DALLE BANCHE ARMATE ALLE ARMI LEGGERE

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CONVEGNO 2006 - INTRODUZIONE

Un caloroso benvenuto a tutti voi presenti e convenuti a questo convegno: so che alcuni vengono da altre città. Ringrazio tutti per la presenza e l’interesse a questo tema.

È un convegno un po’ speciale. Sia i lettori di Missione Oggi sia quelli di Mosaico di Pace sanno del convegno che si è tenuto a Roma dal titolo: Dalle banche armate alla responsabilità sociale. Dopo sei anni di vita, la campagna di pressione sulle banche che appoggiano il commercio delle armi aveva bisogno di fare il punto e organizzarsi.

A Roma c’è stato un confronto con gli istituti di credito, con l’informazione e la Pastorale giovanile della Cei per quanto riguarda le sponsorizzazioni. Subito dopo si sentì il bisogno di un confronto sulla produzione armiera e con i sindacati, e mentre organizzavamo e contattavamo i vari relatori, a don Fabio Corazzina di Pax Christi e alla redazione di Missione Oggi sembrava di preparare un cocktail, una miscela esplosiva, su un tema che è di grande attualità a Brescia. Armi leggere, Brescia e etica: tre ingredienti per fare un polverone.

Non è nuovo il tema, ma è attuale, e non solo a Brescia che ha la produzione del 90% delle armi leggere in Italia (l’ultimo articolo de L’Espresso 24/2/2006 “Beretta Connection”, sulla triangolazione delle pistole Beretta in Iraq, rimette il problema alla nostra attenzione). L’Italia è il quarto produttore e il secondo esportatore mondiale di armi leggere.

L’APPUNTAMENTO DI NEW YORK

C’è davanti a noi un importante avvenimento legato a questo convegno: dal 26 giugno al 7 luglio si svolgerà nella sede dell’Onu, a New York, la seconda Conferenza dell’Onu sui traffici illeciti di armi leggere per arrivare a un Trattato mondiale sul commercio delle armi leggere e di piccolo calibro. È fin dal 2001 che si sta lavorando all’Onu sulle armi leggere con un Programma d’azione per prevenire, combattere ed eliminare il commercio illecito delle armi leggere sotto tutti i suoi aspetti. Mons. Celestino Migliore, osservatore permanente del Vaticano presso l’Onu, ha accettato di presentarci il lavoro fatto finora in quest’ambito.

LA CULTURA DELLA PACE

In pochi minuti vorrei tentare di premettere a questo convegno alcune riflessioni sulla significatività etica del problema e quindi perché una rivista missionaria come Missione Oggi, un movimento cattolico pacifista, Pax Christi, e l’Ufficio di pastorale sociale della diocesi di Brescia avrebbero qualcosa da dire sulle armi leggere. 
1. Si tratta di una questione di politica pubblica globale. Stiamo chiedendo ai poteri pubblici di migliorare e rinforzare il controllo delle armi leggere a tutti i livelli, dalla produzione all’esportazione e all’utilizzo. Ogni anno 500mila persone muoiono vittime delle armi leggere nel mondo. Un gruppo di esperti dell’Onu stima che 80% di queste sono donne e bambini. Ancora, ci sarebbero nel mondo 638 milioni di armi leggere e di piccolo calibro prodotte per fini militari e quasi 100 milioni di fucili d’assalto, tipo kalashnikov. Veramente tante! Ed è facile capire perché: costano poco, sono facili da trasportare e hanno vita lunga. Anzi, facili a essere usate perfino dai bambini. Appunto per l’abbondanza e per le conseguenze negative sulla sicurezza internazionale, è imperativo che l’azione pubblica sia coordinata dalle Nazioni Unite, e che il trattato di fine giugno a New York affronti anche il problema delle sanzioni per chi non lo osserva. 
2. Il fine generale da perseguire è di lottare contro la proliferazione eccessiva e contro il cattivo utilizzo delle armi leggere. Contrariamente all’obiettivo delle mine antipersona del Trattato di Ottawa, non si tratta di proibire totalmente questo tipo di armi. Si tratta di cercare un consenso su ciò che si può e ciò che non si deve fare. È ovvio che bisogna eliminare il commercio illegale delle armi e poi tenere a tenuta stagna il commercio legale e i traffici, senza fughe e sortite a sorpresa.
3. C’è un terzo punto che mi sembra importante: allargare il fondamento dottrinale e culturale di questa politica globale. Dall’adozione della Carta delle Nazioni Unite del 1945, l’uso della forza è regolamentato in modo rigido dal diritto internazionale. Ma la decolonizzazione e la guerra fredda Est-Ovest hanno impedito di applicare queste regole. Dagli anni ‘90, soprattutto con l’apparizione del concetto della “prevenzione dei conflitti”, la ricerca delle soluzioni pacifiche ai conflitti di interesse è sempre più considerata come un metodo da preferire perché più produttivo, più efficace e meno costoso che la soluzione militare. Ma, ahimè, lo sappiamo bene che questa soluzione non è condivisa da tutti. La “cultura della pace” implica mediazioni e negoziazioni, ma non è ancora presentata come un’alternativa da preferire all’impiego delle armi per regolare i conflitti di interesse. Che questo convegno rafforzi questa cultura della pace, della nonviolenza, l’unica che ci permette di vivere insieme con tutte le diversità e le differenze.

ALCUNE DOMANDE ETICHE

Vengo a questo convegno con tante domande che spero troveranno risposte lungo tutte le relazioni. Però ne menziono solo due:

1. È eticamente possibile trarre profitto dalle armi, costruendo o trafficando uno strumento capace di uccidere? Con un mercato così abbondante e forse così redditizio, e conoscendo anche i possibili risvolti del mercato, è etico trafficare, lavorare in questo settore? Ed essendo stato in Congo per vari anni come missionario, vorrei terminare con un’altra domanda: so bene quanta corruzione c’è in questo commercio, anzi si può affermare che a causa della struttura, della complessità, della capacità del mercato e a causa della segretezza che circonda questa attività, quello delle armi è il più corrotto di tutti i commerci. 
2. Allora, è eticamente possibile giustificare la corruzione di persone per costringerle a comprare armi di cui non hanno forse bisogno, con i soldi delle tasse che a fatica possono pagare, semplicemente per dare lavoro a noi del Nord del mondo che le produciamo?

Concludo con queste parole di Carlo Carretto (1910-1988), Piccolo fratello di Gesù: “Io – scrive Carretto – non ho più paura della morte da quando ho capito che il mio Dio è anche il Dio del lupo. Perché il miracolo che si compì quella mattina a Gubbio non fu la conversione del lupo, fu la conversione degli abitanti di Gubbio, che credettero possibile lottare col lupo armati non più di armi per insanguinare, ma di cibo da donare.

Qui sta il segreto di tutto: questo è il segreto nascosto di tutto il piano di Dio sull’uomo: credere possibile l’impossibile”.

Grazie e buon lavoro.

NICOLA COLASUONNO, sx.



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