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Sebbene la fine del colonialismo e dello scontro Est-Ovest si siano tradotte in un minor numero di guerre tra Stati, è cresciuta la percezione globale del rischio, a causa del moltiplicarsi dei conflitti armati intrastatuali e del terrorismo internazionale.

Tuttavia l'azione militare risulta inadeguata come strumento di soluzione dei conflitti, quando non controproducente.

Golfo Persico, Somalia, Jugoslavia, Afghanistan e Iraq hanno, infatti, evidenziato che la preparazione di operazioni belliche condiziona gli sforzi negoziali e rafforza “i duri” tra le parti in conflitto. Inoltre, l'intervento favorisce un'ulteriore escalation violenta e ostacola soluzioni politiche, provoca vittime, in maggioranza civili, danni materiali e ambientali, senza contare gli enormi costi sociali degli armamenti e delle forze armate.

Di fronte a una nozione di sicurezza che include ormai aspetti politici, economici, sociali e ambientali, e a conflitti caratterizzati da una molteplicità di cause e soggetti coinvolti, la ricerca e l'organizzazione di forme di difesa nonarmata e di soluzione nonviolenta delle controversie appare dunque l'unica strada in grado di costruire e garantire la pace.

Questo dossier vuole essere un contributo in questa direzione, a partire da riflessioni ed esperienze di movimento e istituzionali non più solo incipienti.



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