Skip to main content
Condividi su

Amos è il primo dei profeti scrittori; il suo intervento si colloca sotto il regno di Geroboamo II (786-746 a.C.), attorno agli anni 760-750. Pur predicando nel regno del Nord, Amos era originario del Sud, di Tekòa di Giuda, città situata a 18 km da Gerusalemme; è presentato nel libro come un allevatore di bestiame (Am 1,1), forse un proprietario terriero. La critica che il profeta rivolge alla società del suo tempo non è dunque determinata da situazioni di privazione o emarginazione sociale che lo toccano direttamente, ma dalla sua vocazione di porta-parola di YHWH alla quale non può sottrarsi (Am 7,14-15; cfr. 3,8).

LA SITUAZIONE SOCIALE

Il regno di Geroboamo II è descritto come un’epoca di grande prosperità (cfr. 2 Re 14,23-25). Ci fu una fioritura di agricoltura e commerci, anche se, come ci rivela il testo di Amos, la prosperità e il benessere erano goduti ai livelli alti della scala sociale, mentre le popolazioni del contado erano in ristrettezza. Amos si concentra soprattutto sull’alienazione del patrimonio fondiario familiare a causa di debiti che impoverivano i contadini: una prassi che aveva fatto sorgere una classe di latifondisti. La crescente centralizzazione, la necessità di mantenere una corte regale e un culto fastoso, un fisco oppressivo (cfr. Am 5,11) che costringeva molti agricoltori ad abbandonare la terra, i grandi poderi privi di proprietari, il servizio militare e i lavori forzati erano i fattori principali che minavano l’organizzazione sociale.

In questa situazione Amos perorò la causa dei poveri e degli esclusi, e fece questo appellandosi ai valori tradizionali.

L’INTERVENTO DEL PROFETA

Ci soffermiamo su alcuni oracoli del profeta per illustrare il suo messaggio.

Così dice il Signore: “Per tre misfatti d’Israele e per quattro non revocherò il mio decreto di condanna, perché hanno venduto il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali, essi che calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri e fanno deviare il cammino dei miseri, e padre e figlio vanno dalla ragazza, profanando così il mio santo nome. Su vesti prese come pegno si stendono presso ogni altare e bevono il vino confiscato come ammenda nella casa del loro Dio” (Am 2,6-8).

Il brano conclude una serie di otto oracoli contro alcune nazioni vicine a Israele e contro Israele stesso (1,3-2,16). Negli oracoli precedenti il profeta si concentra su due aspetti fondamentali: la crudeltà della guerra e il fenomeno della schiavitù. Amos ha di mira popoli che violano i diritti più sacri della persona umana e si pone in una prospettiva deliberatamente universale: descrive una situazione tragica, in cui sono assenti anche i più elementari sentimenti di pietà o compassione. In tal modo il profeta mostra che la sovranità di YHWH tocca anche le relazioni internazionali, che devono essere conformi alla sua volontà. Nell’ultimo oracolo, tuttavia, i crimini elencati non riguardano più i rapporti tra gli Stati: in Israele il crimine si consuma al suo interno, e addirittura giunge al suo culmine, realizzando il numero pieno con cui inizia l’oracolo (sette).

Mentre tutte le nazioni accusate dal profeta riversano il loro odio e la loro crudeltà su popolazioni straniere, in Israele il crimine si consuma entro i suoi confini e si manifesta in una contrapposizione tra poveri e ricchi, tra sfruttati e sfruttatori. Emerge chiaramente, però, che non tutti sono implicati nell’accusa rivolta dal profeta, dato che la colpa si manifesta nella condizione di coloro che vivono nella miseria, nell’oppressione, privi di ogni certezza del diritto.

Amos proclama che Dio prende posizione di fronte a questi fatti e che non basta l’attività cultuale a preservare dal castigo, perché anche in quella si manifesta il delitto commesso dalle classi elevate della società (cfr. 2,8). Il profeta è impressionato dalla condizione globale della società in cui vive, che egli descrive nei particolari: il povero disprezzato lungo la strada e nei tribunali, le tasse eccessive e superflue, il padre di famiglia venduto come schiavo e, fatto ancor più grave, una società divisa in ricchi e poveri, “oppressi” e “accaparratori”.

CONTRO L’INGIUSTIZIA LEGALIZZATA

Forse l’aspetto nuovo e di maggior interesse in Amos è proprio il riferimento all’ingiustizia “legalizzata”; infatti, mentre per gli altri popoli il reato commesso appare evidente (violenza e crudeltà ingiustificate), il crimine di Israele è nascosto da una condotta apparentemente sottomessa ai dettami della legge. In altre parole, il peccato di Israele appartiene all’ordine della perversione, in quanto si presenta come una interpretazione distorta del senso della legge, senza che questo fatto sia percepito coscientemente. Azioni consentite dalle legge, come la schiavitù, le imposte, il regime dei prestiti sono condannate dal profeta in forma radicale.

Amos è, per esempio, contro la schiavitù, che invece la legge israelitica consente in determinati casi (cfr. Es 21,2-11; Lv 25,35-46; Dt 15,12-18): nel c. 1 denuncia il commercio degli schiavi (cfr. 1,6.9) frutto di lotte o di razzie nei paesi vicini; in 2,6 denuncia il fatto che un uomo sia venduto per denaro; in 8,6 accusa chi compra tali persone. Il profeta rifiuta di ridurre l’essere umano a merce di scambio: la persona e la sua libertà sono al di là di qualsiasi prezzo.

Ascoltate questa parola, o vacche di Basàn, che siete sul monte di Samaria, che opprimete i deboli, schiacciate i poveri e dite ai vostri mariti: “Porta qua, beviamo!” (Am 4,1).

In genere i commentatori identificano in queste “vacche di Basàn” (appellativo che va inteso come una metafora) le mogli dei signori di Samaria, ritenute istigatrici della politica di oppressione dei poveri. Non va escluso tuttavia che con tale appellativo il profeta intenda riferirsi ai signori stessi, dato che l’immagine delle “vacche” intende senz’altro sottolineare l’opulenza dei ricchi di Samaria (cfr. Ez 39,18): l’essere “grassi” è condannato da Amos perché avviene a scapito dei poveri. Al culmine della denuncia di Amos sta, però, il “bere” (“Portate da bere!”): il vino è tra i prodotti che esprimono la benedizione divina sulla terra d’Israele, doni promessi da Dio al popolo che egli ha liberato dalla schiavitù (cfr. Nm 13,23; Dt 6,11; Gs 24,13); tuttavia ora solo pochi membri del popolo prendono parte a questi doni e partecipano alla festa; ciò significa che i doni di Dio non sono condivisi, anzi tali accaparratori offuscano la prodigalità di Dio e ne distorcono la finalità.

NON VI SARÀ ALCUN BISOGNOSO IN MEZZO A VOI

La motivazione che spinse Amos a formulare simili accuse era la sua consapevolezza di essere investito di una missione divina e non soltanto una prospettiva di rivendicazione sociale. In quanto portavoce di Dio, compito del profeta non è soltanto e primariamente annunciare la futura opera di Dio, sia essa castigo o salvezza, ma aiutare ciascuno a prendere coscienza della sua posizione di fronte al mondo e soprattutto a Dio.

In tal senso Amos svela ai capi del suo popolo come, sotto un apparente rispetto della legalità, si celi la perversione dell’intenzione stessa di quelle leggi che, sulla base della promessa divina, avrebbero dovuto garantire a tutti i membri del popolo il benessere nella terra (cfr. 2,6-16); un patrimonio costruito con lo sfruttamento sistematico delle classi meno abbienti non è un tesoro prezioso, ma il germe della futura rovina, che manifesterà il rifiuto divino di avallare tali comportamenti delittuosi (cfr. 3,9-11); la gioia presente è soltanto effimera, se fondata sull’ingiustizia:

deboli, poveri, sfruttati (cfr. 4,1-3) sono il segno che non si è corrisposto al progetto di Dio,

secondo il quale “non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi; perché il Signore certo ti benedirà nel paese che il Signore tuo Dio ti dà in possesso ereditario” (Dt 15,4).



Per scaricare la rivista accedi con le tue credenziali d'accesso o abbonati.

Logo saveriani
Sito in costruzione

Portale Unico dei Saveriani in Italia

Stiamo finalizando la nuova versione del portale

Saremmo online questa estate!

Ti aspettiamo...

Versione precedente del sito